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Emanuele Mauti: «Io biancoceleste grazie a mio nonno. Sarebbe un orgoglio giocare alla Lazio, anche se… » – ESCLUSIVA

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Il pallanuotista Emanuele Mauti ci ha raccontato in esclusiva come ha vissuto la quarantena e com’è nata la passione per la Lazio

Emanuele Mauti, è un grande atleta dal cuore biancoceleste, noto anche per la sua partecipazione ad un noto programma televisivo nel 2017. In esclusiva ai nostri microfoni, ci ha raccontato come ha vissuto questo periodo di reclusione forzata e come vede il cammino della Lazio verso il sogno Scudetto.

Ultimamente sei molto presente su Instagram con degli allenamenti in diretta. Com’è nata questa idea?

«Premetto: sono in primis un atleta, l’ho fatto per tanti anni nella mia vita e quella della tv è stata un’esperienza al momento singola che vedremo se si ripeterà in futuro perchè è stato divertente. Mi piace sempre mettermi in gioco in campi in cui sono poco ferrato e per questo ho deciso di provare il mondo dello spettacolo (Emanuele è un pallanuotista agonista ed un ingegnere ndr). Per quanto riguarda quello che sta avvenendo in questo periodo, è un progetto che porto avanti ormai da quasi un anno e che non ho iniziato in quarantena: l’avvio era previsto per febbraio/marzo ma poi ho dovuto rimandare per fare le cose in maniera giusta. Dico sempre che, avendo acquisito un grosso seguito sui social, ho cercato un po’ di accomunare le mie passioni con le esigenze delle persone. Due anni fa, il mio profilo non aveva una tematica precisa, ho capito che la gente usa i social anche per una rivalsa personale dal punto di vista fisico e psicologico (tanti si sono confidati con me pur essendo uno sconosciuto). In quel momento mi sono detto che forse avrei dovuto portare quello che sono io, un atleta appassionato dello sport, sui miei profili social ed aiutare tutte quelle persone che sono costantemente alla ricerca di piani d’allenamento e piani nutrizionali. Il tema di questo progetto non è né lo sport né il fitness, ma è principalmente la salute ed il benessere personale: la base di tutto. In futuro ci saranno contenuti fisioterapici, psicologici, motivazionali, culinari (sia cucina fit che cheat meal) ed anche servizi di consulenza personalizzata. Questa quarantena l’ho sfruttata sopratutto per poter dare servizi utili: ciò che si cercava prima erano gli allenamenti e li ho portati sia tramite i post che tramite le dirette (prima erano 4 a settimana, ora tre ndr) per cercare di alleviare la noia delle persone chiuse in casa, aiutarle nel prestare maggiore attenzione alla loro forma fisica e per dare un’alternativa a tanti personaggi che si sono affacciati nel mondo del fitness senza avere tante competenze. Io, con la massima umiltà, dico: «Sono un atleta, faccio questo nella vita e vi faccio vedere come ci si allena ad un certo livello»».

Proprio perché sei un atleta, come hai reagito alla chiusura del tuo settore (la pallanuoto ndr)?

«Sabato 7 marzo avrei dovuto iniziare il campionato dopo essermi preso un anno sabbatico. Una piccola realtà vicino Latina mi è riuscita a coinvolgere per giocare in Serie C, abbiamo fatto 5 mesi di preparazione e poi ci siamo dovuti fermare: non è stato facile apprendere la notizia, un giocatore vive per la partita, nonostante la condivisione degli allenamenti con il gruppo sia comunque fantastica. Aspettavamo quel momento anche per confrontarci con le compagini avversarie. L’impatto psicologico è stato brutto perché ad oggi è tutto chiuso, il campionato è terminato e noi non abbiamo giocato nemmeno una partita. Anche il fatto di non potermi allenare in palestra, standoci io quasi 5 ore al giorno, è stato duro da digerire. All’inizio non si sapeva quando il tutto sarebbe stato riaperto e quindi la mente mi portava a pensare che sarebbe durato poco. C’è stato un momento di buio totale. Con il tempo ho realizzato e ho cercato di cogliere da questo periodo il bicchiere mezzo pieno. Non mi sono fermato e mi sono adattato. E’ stato difficile mantenere i ritmi di vita quotidiana (orari dei pasti regolari, sveglia regolare, sonno regolare, ecc.), ma ci sono riuscito nonostante lo sconforto totale iniziale. La pallanuoto non è solo il mio lavoro, ma anche la mia passione: non è come se lavorassi in fabbrica e mi comunicassero la chiusura, in quel caso starei a casa e mi riposerei. Una volta che ti tolgono il tuo amore primario non vivi un bel momento. Questo periodo ci ha insegnato a guardare avanti con positività, che è l’unico modo per non lasciarci andare. Credo anche di potermi considerare fortunato dati gli esempi intorno a me di persone che, per patologie pregresse, hanno subito fortemente lo stare a casa per un lungo periodo. Alla fine sono stato abbastanza bene anche se non vedo l’ora di tornare alla normalità, nonostante comunque dovremmo convivere con le modifiche delle nostre abitudini causate dal virus».

Pensi che il Governo, nella figura del Ministro dello Sport, stia facendo il massimo per salvaguardare i settori un po’ meno popolari dello sport?

«Il mondo della pallanuoto, non professionistico, è lasciato un po’ a se stesso. Non credo verranno dati fondi per le società e giocatori, oramai è andata così. Sono stato molto contento della serietà di molte società che hanno optato per la riduzione dell’ingaggio. La Reale Mutua Torino ’81 Iren in A2 ha deciso di decurtare una percentuale dello stipendio in base all’occupazione del giocatore: se l’atleta gioca a pallanuoto e basta riceverà il 100% dello stipendio, se è un giovane a carico della famiglia ci sarà una riduzione del 50%, invece se svolge anche un lavoro riceveranno il 30% del compenso. Secondo me questo è una scelta ottima essendo fatta ad personam, essendo una squadra di 15/20 persone si può fare. Un altro esempio che posso fare riguarda la FIPE (Federazione Italiana Pesistica ndr): mi rimborseranno la quota associativa da allenatore personal trainer in quanto hanno ricevuto uno stanziamento da parte del Governo. In questo modo la quota verrà utilizzata per il prossimo anno o si può richiedere il rimborso. Secondo me è stato fatto il massimo. Credo anche che, dal punto di vista statale, la nostra nazione è una di quelle che ha risposto in maniera efficace e velocemente all’emergenza. Ci lamentiamo di stare in Italia ma poi all’estero è successo la qualunque, nonostante avessero i nostri comportamenti come riferimento. Forse una chiusura totale fin da subito sarebbe stata più utile, ma alla fine non sono andati nemmeno tanto male».

Rispetto al mondo del calcio, quale sarebbe la scelta giusta da fare: fermare il campionato o ricominciare?

«E’ difficile dirlo perchè da non tifoso direi di fermare tutto, ma essendo molto appassionato di calcio e sopratutto di Lazio non è facile anche perchè la posizione in classifica dei biancocelesti lasciava ben sperare per l’obiettivo finale (ride ndr). E’ pur vero che le situazioni sono da valutare. Non ho ben chiare le scelte che sono state prese in merito fin ad ora, se si ricomincerà tra poco o via discorrendo, però penso che il tutto possa essere controllato visto che i giocatori, essendo professionisti, si divideranno tra allenamento e casa evitando contagi importanti all’interno delle squadre. Da un punto di vista prettamente etico, invece, dato che gli altri sport hanno decretato la fine della stagione, anche il calcio dovrebbe farlo nonostante le cifre esorbitanti che circolano. E’ pur vero che lo sport è utile anche per distrarre le persone da questo momento complicato».

Molto criticato è stato il ritiro in isolamento. Secondo te è una situazione fattibile? Riusciresti a stare recluso con la tua squadra per due mesi solo per concludere il campionato?

«Io credo di sì senza alcun problema. Vivo da solo, sto da due mesi recluso in casa e sono uscito solo per fare la spesa e nessuno mi paga per questo. Un professionista che prende uno stipendio importante (senza pretendere le cose solo perchè riceve tanti soldi) lo può fare. Faccio l’esempio di un esperto in un altro settore: se un imprenditore va 5/6 mesi fuori da casa (come è successo ad alcuni soggetti nel periodo in cui ho lavorato per una multinazionale del farmaco e sono dovuti andare negli stabilimenti in Cina), lontano dalla famiglia e quasi del tutto isolato, qualora lo dovesse fare un calciatore che comunque starebbe con i propri compagni di squadra, non la vedo così tragica. Soprattutto se lo si fa per lavoro e si viene remunerati in maniera cospicua. La maggior parte dei giocatori hanno il calcio come passione. Portare a termine ciò che hanno iniziato è uno dei motivi per il quale vengono pagati, uno sportivo questo fa. Il clima dello spogliatoio è la cosa più bella del mondo, è divertente far parte di un gruppo. Anziché starci una settimana ci stai due mesi e se anche dovesse risultare un po’ pesante, lo fai con un obiettivo e non perchè sei al Grande Fratello e senza un motivo sei rinchiuso dentro una casa».

Come detto prima sei un grande tifoso della Lazio, com’è nata questa passione?

«Nonostante le origini contrastanti della mia famiglia (mia nonna era storicamente una tifosa della Roma ed infatti mio nonno raccontava sempre che quando la conobbe lei indossava la catenina con il lupacchiotto al collo), devo la lazialità a mio nonno. Siamo tutti di fede biancoceleste in famiglia grazie a lui, tant’è che anche mia nonna nel corso del tempo si è convertita ed adesso, quando io e mio zio ci vediamo le partite, lei viene e ci chiede il risultato. Mio nonno purtroppo non c’è più però lui era talmente tifoso che addirittura nell’ultimo periodo il medico gli vietò di andare allo stadio, per quanto lui sentisse la partita e ci fosse il rischio che si potesse sentire male, era sfegatato (ride ndr). Oltre alla Lazio, mi ha trasmesso anche altre passioni. Sono cresciuto con lui perchè mio papà, facendo un lavoro particolare, stava lontano da casa per tanto tempo. Oltre a lui, anche mio zio è tifosissimo e quando vado a casa sua mi trovo sempre il poster di Signori. Non potevo che essere laziale (ride ndr)».

La stagione attuale dei biancazzurri, al momento, è stata spettacolare. Pensi che, se si dovesse riprendere, la squadra di Inzaghi riuscirebbe a tornare in campo col giusto piglio?

«Questo è difficile da dire. Stagioni così particolari, si basano su qualcosa di strano: la Lazio stava vivendo un momento magico, sembrava stesse andando tutto per il verso giusto. Per il mio punto di vista, nei titolari, ha la rosa più forte della Serie A o comunque alla pari di Inter e Juventus. La compattezza del gruppo ha fatto veramente la differenza: un collettivo di amici che si diverte a stare insieme, come abbiamo visto dalle immagini di Formello, capitanato da mister Inzaghi che trasmette la lazialità ai suoi ragazzi, come fece Maestrelli nel ’74. Ritrovo molte somiglianze tra i due tecnici, anche nel portare i figli al campo. Non so se riprendendo si ricomincerebbe da dove si è lasciato, per il semplice motivo che queste situazioni sono estemporanee. Forse i primi risultati potrebbero condizionare l’andamento della squadra: se ingrani la prima, seconda e terza partita ritrovi quell’entusiasmo che è stato congelato per due mesi insieme alle emozioni ed ai sentimenti. Anche le grandi squadre potrebbero subire questa interruzione. Ritrovare gli equilibri non è semplice. Lo stop non è da considerare esclusivamente un male: potrebbe esser servito a far riprendere un po’ di fiato a quei giocatori imprescindibili (Luis Alberto,Milinkovic, Acerbi, Immobile) che si sono trovati a giocare spesso. Io non so come faranno perché due mesi di allenamenti casalinghi non ti preparano al meglio per la gara e non credo che tutti abbiano fatto 5 ore di allenamento e via discorrendo. Per quanto riguarda la situazione infortuni/recuperi, ci è andata meglio rispetto ad altre società».

Ieri è ricorso l’anniversario del primo Scudetto conquistato dalla Banda Maestrelli e come hai detto te prima ci sono molte somiglianze con la rosa attuale. Pensi che alla fine riusciremmo a gioire come si fece quel lontano 12 maggio 1974?

«Se ci ripenso ho i brividi. Io ho vissuto il secondo Scudetto, ero piccolo e rimasi incredulo perchè si verificò in circostanze clamorose. Ricordo che rimasi incollato alla tv. Tornando a questa stagione non ti saprei dire. Durante l’anno sono sempre rimasto senza parole davanti agli esiti delle gare avvenuti in modalità clamorose. Storicamente, soprattutto negli ultimi anni, non siamo mai stati abituati a qualcosa del genere. Siamo passati dal 7°/8° posto a giocarci lo Scudetto, quando poi i cugini ci sono sempre andati vicini pur non credendoci fino in fondo (anche loro sapevano che ad un certo punto avrebbero mollato la presa). Quest’anno sembrava avessimo tanta birra in corpo e sarebbe stato o sarà, se si dovesse tornare a giocare, bello verificare cosa potrebbe accadere. Ora tutto è un punto interrogativo, mentre prima anche i giocatori erano esaltati dal fatto di ritrovarsi in una posizione per loro inimmaginabile ad inizio stagione. Non ho mai visto Juventus ed Inter così avvantaggiate rispetto a noi, soprattutto rispetto alla qualità del gioco. Spesso la Lazio ha fatto punti nei minuti finali ed ha vinto con una rete di scarto, cosa che nelle passate stagioni non siamo mai stati in grado di fare. Spero che tornerà ad andare tutto per il verso giusto».

Abbiamo aperto con la pallanuoto e chiudiamo con lei: ti piacerebbe indossare la calottina della Lazio?

«Mi piacerebbe tantissimo, a casa ho 2/3 calottine della Lazio (le tengo nel cassetto, non le ho mai indossate). Ci ho giocato spesso contro e gli ho dato anche dei dispiaceri ed ero contento ma non fino in fondo. Ho tantissimi amici che ci hanno giocato e mi piacerebbe perchè quei colori per me faranno sempre la differenza. Ahimè, essendo la società svincolata dal calcio, come tutte le altre della polisportiva, attualmente non gode di grande fama soprattutto per le difficoltà economiche. Per la pallanuoto è una realtà non favorevole quindi sarebbe complicato andarci a giocare, ma sentimentalmente parlando ci andrei assolutamente: sarebbe un orgoglio ed un vanto vestire quei colori».

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