Vulpis: «Serie A? Il Titanic affonda e noi balliamo. Sugli eSports dico...» ESCLUSIVA
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Vulpis: «Serie A? Il Titanic affonda e noi balliamo. Sugli eSports dico…» ESCLUSIVA

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Il direttore di Sporteconomy.it ci ha spiegato in esclusiva il fenomeno degli eSports e come la Serie A farà fatica nella ripresa economica

Lo stop della Serie A e di tutto il calcio in Italia ha causato un enorme blocco nell’economia generata dal dio pallone. Marcel Vulpis, giornalista esperto in economia sportiva e direttore di Sportseconomy.it, ci ha spiegato in esclusiva le possibili problematiche che si incontreranno nella ripresa del campionato e come gli eSports potrebbero essere un investimento per il futuro.

Come pensa che l’economia del calcio italiano possa riprendersi dopo questo duro stop?

«Con molta lentezza. Ci sono degli aspetti oggettivi che al momento risultano abbastanza insormontabili, ad esempio il tema del botteghino: su base annuale è una voce che in Serie A pesa per €301mln e le 12 gare rimanenti più i 4 recuperi valgono, come voce di botteghino, tra i €70mln e €95mln. Siccome partiremo senza spettatori sugli spalti, trovo difficile che sia una voce recuperabile quantomeno nel breve ma anche nel medio-lungo, perché la probabile ripartenza del campionato sarà comunque con pochi spettatori sugli spalto o proprio zero. Anche la stagione successiva rischia di partire zoppa sotto il profilo dei ricavi economici. Al tempo stesso anche le sponsorizzazioni, nel bene o nel male, avranno un impatto negativo perchè un conto è un match con lo stadio pieno, un altro è giocare a porte chiuse. Chiaro che il grosso è su base televisiva, di conseguenza la perdita live verrà riguadagnata a livello di prodotto televisivo, una compensazione. Il format non è più, almeno nei prossimi 18 mesi, nella direzione di uno sport entertainment ma diventa un prodotto televisivo. La passione di chi sarà seduto sul divano non è tangibile».

Quali mosse potrebbero adottare le società, soprattutto quelle medio-piccole, per aumentare gli introiti data la quasi certezza della ripresa a porte chiuse?

«Sul fronte botteghino la vedo difficile visto che nella migliore delle ipotesi si potrà arrivare a un recupero di 1/4 dei ricavi (su base annuale circa €70/80mln ndr). Questa cifra divisa per tutti i club sono molto pochi. Ad esempio Cagliari-Juventus, che ci sarebbe stata a breve, sarebbe valsa un €1mln di botteghino. Anche potendo mettere un tifoso ogni 3 od ogni 5 seggiolini, per evitare che ci possano essere problematiche di contagio, in media si ha la metà dei ricavi potenziali. Se ciò dovesse avvenire, ci potrebbero essere difficoltà sostanziali di recuperare su una voce causando problemi insormontabili. Qualcosa sicuramente si potrà fare, soprattutto nell’area digital: le società dovranno strutturarsi per potenziare questo settore. Per quanto riguarda il merchandising il discorso è differente. Il tifoso medio che si compra una maglia lo fa per esporla, ma se ciò non è permesso allora anche questo aspetto rischia di crollare nei ricavi. Gli unici aspetti che possono compensare sono sponsorizzazioni e diritti televisivi».

Pochi giorni fa è uscita la notizia che i broadcaster (Sky e DAZN ndr) vorrebbero aspettare a pagare l’ultima rata. Lei come la pensa al riguardo?

«Ci sono dei contratti commerciali e Sky ha dei diritti. L’importo è elevato ed è chiaro che non può regalare soldi, anche i presidenti credo che capiscano. É palese che i proprietari dei club si possono auspicare la magnanimità delle aziende televisive venendogli in contro, però è difficile: anche loro sono aziende e devono tutelare i propri interessi. A loro volta, anche i broadcaster hanno rapporti con delle aziende, gli spender pubblicitari, che investono e fanno spot. Se loro non hanno la gara da trasmettere come fanno ad onorare a loro volta i rapporti con le aziende pubblicitarie? Sky dovrebbe pagare perchè è partner del mondo del calcio, ma al tempo stesso dovrebbe rispettare chi gli ha dato i soldi: un business model che non tiene. Anche le imprese che fanno pubblicità possono tirarsi indietro data l’assenza della partita, ed allora perché le emittenti, non avendo più i ricavi che coprono quei diritti, dovrebbero pagare per un qualcosa che non è stato esercitato regolarmente? Siccome siamo in uno Stato di diritto, tutto ciò non lo capisco».

Lo stesso ragionamento vale per quanto riguarda gli stipendi? 

«Certamente. Secondo me il taglio del 30% è anche poco. Se non c’è stato lo svolgimento della prestazione sportiva, perché si deve concretizzare il pagamento? Va pagata la quota pattuita se c’è la gara, la gara non c’è quindi non si effettua la transazione».

In questi giorni di quarantena gli eSports si sono presi la scena. Sono veramente il futuro?

«Possono essere il futuro ma hanno bisogno di investimenti. Non ci sono palazzetti specifici nelle grandi città per poter organizzare grandi eventi, quando sarà possibile organizzarli. Fino ad oggi abbiamo visto sol tornei da remoto. Sono il futuro per un target specifico, persone tra i 15 e 30 anni. Il tifoso di calcio è mediamente adulto e quindi gli interessa poco degli eSports. I tifosi vogliono vedere la partita di calcio. Sicuramente si possono divertire durante l’evento speciale (tipo quello organizzato da Sky Sport) e ci può stare, ma se solo così vorrebbe dire che non esisterebbe più il calcio fisico, solo quello digitale. Oggi si è sviluppato perchè le aziende, i club e le televisioni non sanno più cosa organizzare e cosa trasmettere, ma rimane comunque una costola del prodotto originale che ora non si ha. La gente si emoziona per vedere i campioni veri, non per vedere l’avatar sulla Playstation. Comunque è un fenomeno importante, in grande fase di sviluppo. I titoli sono tanti: siamo focalizzati sugli sport, ma i più importanti sono Fortnite, Call of Duty, Dota 2, League of Legends. Altre logiche».

In Italia un movimento del genere quindi farebbe fatica ad emergere?

«No, può funzionare nel momento in cui ci saranno degli investimenti importanti. Prima del Coronavirus non erano previsti determinate spese, figuriamoci dopo. Abbiamo comunque di fronte 12/18 mesi di convivenza con un virus che non ci permetterà di vivere la nostra vita, compresa la parte legata all’intrattenimento, come lo facevamo prima. Non credo che ci saranno mosse considerevoli in questo settore in una fase in cui comunque è difficile vedersi. I produttori dei titoli hanno gli abbonamenti online per essere direttamente in contatto con l’utente finale, non hanno bisogno di effetti speciali. Attraverso le consolle entrano in contatto e fanno le loro promozioni. I Pro players sono l’apice di una piramide, ma sono pochissimi: massimo 150 e quindi non una massa critica».

Tornando al calcio giocato, una battuta sulla Lazio: merita lo Scudetto per quanto dimostrato finora?

«Lo merita come lo può meritare la Juventus o come lo potrebbe meritare, se recuperasse, l’Inter: è un campionato che secondo me, oggi come oggi, non ha più senso perchè è anche totalmente falsato sotto il profilo atletico. Se dovesse ripartire, far giocare calciatori per tre partite di fila in una settimana per cercare di recuperare e chiudere, non sarebbe un campionato veritiero. Giocare solo per fare contenti gli sponsor e le televisioni, e quindi non perdere i soldi, mi sembra tutto tranne che sport. Comunque, classifica alla mano, la Juventus ha comunque un punto in più della Lazio ed è quindi davanti».

Lei quindi sarebbe per l’annullamento della stagione?

«Sì, anche perchè con oltre 22’000 morti nel paese non vedo proprio di che cosa dobbiamo festeggiare. Capisco gli interessi di Sky e DAZN, quelli dei calciatori, dei presidenti, ecc. però mi sembra che ci troviamo di fronte all’ultimo ballo sul Titanic, mentre la nave ha colpito l’iceberg».

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