Varsavia, la sorella di uno dei detenuti: "Ora possiamo sperare, ma lo Stato ci aiuti" - Lazio News 24
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2013

Varsavia, la sorella di uno dei detenuti: “Ora possiamo sperare, ma lo Stato ci aiuti”

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Ieri gli ultimi quattro ragazzi in attesa di processo si sono dichiarati colpevoli delle imputazioni ascritte loro e così, dichiarando il falso, hanno ottenuto la possibilità di tornare a casa. Con due anni di condanna sospesa, tre anni di Daspo – il divieto di assistere ad eventi sportivi – in Europa e circa seicento euro di multa.

Come scrive Il Tempo, restano invece dietro le sbarre del freddo carcere di Bialoleka altri nove supporters biancocelesti. Tra loro c’è Federico D’Alessandro. La sorella Barbara ha deciso ieri di affidare alle pagine del quotidiano una lettera aperta. “L’accoglimento dell’istanza di Damiano ci regala qualche speranza in più ma dovremo attendere ancora qualche giorno per sapere se anche gli altri ragazzi potranno, dietro pagamento, tornare liberi“, scrive Barbara. Che poi sfoga tutta la sua rabbia: “Provate a chiudervi in una stanza, stretti tra quattro mura, senza riscaldamento, con la luce che va e viene. E un vaso da notte per i vostri bisogni. Le ore sono scandite dalla sveglia, poi dalla colazione, dagli altri pasti, più o meno mangiabili. Quando capita c’e’ l’ora d’aria. A volte, decide la guardia carceraria in turno, è concessa una telefonata. Il resto del tempo scorre uguale, monotono, guardando il soffitto, scambiando qualche parola con i compagni di cella. È la vita del carcerato, è la vita che stanno regalando a mio fratello. Basterebbe andare a Rebibbia per appurarlo. In Polonia non c’è niente di diverso, a parte il freddo pungente, la lontananza da casa e l’impossibilità di comunicare con i dipendenti del carcere“. Federico e i suoi compagni vivono così, “cercando di far passare le ore e poi i giorni – prosegue Barbara nella lettera – pensando ai propri cari e con la consapevolezza di essere stati incastrati, di essere rimasti vittime della giustizia sommaria di un paese che credevamo, a questo punto a torto, al passo con il resto dell’Europa. Gli altri ragazzi, quelli che erano ancora in attesa di giudizio, sono tornati o torneranno a Roma nei prossimi giorni ma Federico e i suoi compagni del “primo gruppo” no. Loro si sono auto-condannati firmando un foglio in polacco senza comprendere cosa ci fosse scritto. Incastrati con un processo senza assistenza legale. Per loro i ricorsi non sono bastati, tutti respinti senza pietà“.

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