Tare: «Ho la Lazio nel cuore. Inzaghi alla Juve? Devono passare un paio d'anni. Su de Vrij...» - Lazio News 24
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Tare: «Ho la Lazio nel cuore. Inzaghi alla Juve? Devono passare un paio d’anni. Su de Vrij…»

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Il direttore sportivo Igli Tare si è raccontato in una lunga intervista: gli inizi, il rapporto con Lotito, Milinkovic, e non solo…

Il direttore sportivo della Lazio Igli Tare si è raccontanto ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. La sua lunga intervista parte dai suoi inizi, per terminare ad i suoi sogni e alla vittoria della Supercoppa proprio contro la Juventus. L’ex attaccante si è soffermato innanzitutto sulla decisione di Lotito di farlo d.s.: «Entrai nell’ufficio di Lotito per firmare un rinnovo “1+1” e ne uscii d.s. della Lazio. O meglio: potevo esserlo, dipendeva da me. Aspettai 5-6 ore prima di entrare, capii subito che c’era qualcosa nell’aria: mi guardava strano. Poi mi diede un foglio, c’era disegnata la Lazio 2008-2009: “Che ne pensi?”. “Io faccio il calciatore, perché lo chiede a me?”. “Perché mi daranno del pazzo, ma ti voglio d.s.: penso a questa scommessa da due anni. Esci da una grande porta, entri in una grande porta:ti do due giorni per pensarci”. Una voce dentro mi diceva già che avrei accettato:nella vita ho sempre scelto di fare la cosa più difficile».

RAPPORTO CON LOTITO «Mesi dopo, Lotito mi spiegò perché mi aveva scelto:“Parli sei lingue, conosci il calcio estero, sei fuori dall’ambiente romano e dalle malizie delcalcioitaliano”. È in questo che siamo simili: capisce al volo le persone.E le dico che all’inizio abbiamo avuto scontri  durissimi su una comune linea di comunicazione: costruivamo, e lui con un’intervista distruggeva. Ma se mi chiedono come faccio ad andare d’accordo con uno come lui, io rido. Guardate che di Lotito si ha un’immagine distorta, per d.s. e allenatore è il presidente ideale: conosce il limite dove si può arrivare, e non lo oltrepassa mai».

COLLABORATORI NEL MONDO –  «Metodo Tare? Non c’è, e non ci sono – unico club in Italia – osservatori: non amo lavorare in tanti. Ho un collaboratore per i dati, uno che mi prepara clip dei giocatori, uno per l’analisi degli avversari. E poi i report di tanti amici in giro per il mondo. Ma la cosa che fa davvero bravo un d.s. è capire prima come può diventare un giocatore sconosciuto. E vederlo non basta: ci devi parlare».

MILINKOVIC«Milinkovic era al Vojvodina, lo seguii grazie a un amico. Alto come me, e quelle doti tecniche: un crack, ma non potevo garantirgli di giocare quanto gli serviva. Lo monitorai al Genk per mesi, poi andai a prenderlo. La Fiorentina aveva contattato suo padre e fu per rispetto a lui che Sergej andò aFirenze quel giorno, poi rispettò me e il rapporto creato con i suoi agenti. Funziona così».

LAZIO-JUVENTUS«Contro la Juve ho segnato e vinto una volta sola : 2-0 Brescia nel 2002, 7’ di recupero, mai visto. Mazzone urlò: “Che è sta robba?” e il quarto uomo: “Mi vergogno, ma scrivo i minuti che mi dicono”. Il potere Juve lo avvertivi, come oggi avverti che hanno i mezzi per controllare il mercato italiano, la loro politica aggressiva sui giovani di prospettiva. Il contrasto politico Lotito Agnelli è lampante, ma con Paratici zero problemi: neanche per Keita, Milinkovic o De Vrji, che non andrà alla Juve anche se il suo nome è passato sul loro tavolo. Li considero un esempio per mentalità, metodi di lavoro: il meglio del calcio italiano,sì».

SOGNI«Un uomo senza sogni è morto e il mio non l’ho mai nascosto: allenare, un giorno. Se mai sarà, solo l’Albania: non un club. Ma in fondo “alleno” già: mi piace vivere lo spogliatoio, parlare con il mio allenatore, aiutarlo senza intralciarlo nel suo lavoro. E non mi viene facile pensarmi non più d.s.,e neppure non più d.s. della Lazio: mi hanno avvicinato diversi club, ma il mio legame con questa società è nato e maturato fra le difficoltà, è una creatura che ho cresciuto e dopo 13 anni ce l’ho proprio dentro il cuore».

ANNA FRANK«Una foto di Anna Frank con la maglia della Roma è da condannare, ovvio. Meno ovvio è limitarsi a dirlo senza pensare a come far sì che un gesto razzista non sia considerato semplice sfottò: tipo il coro  dei miei ex compagni–“Sei venuto col gommone”– e io non ci vedevo razzismo, ma solo una presa in giro. Non basta mettersi magliette dedicate a una causa: Figc e Lega imparino dallo sport Usa, che coinvolge gli atleti in iniziative sociali. Educazione è questo e pure continuare ad andare allo stadio, come un mio amico tifoso laziale ed ebreo dopo l’episodio AnnaFrank:“Igli, vado all’Olimpico: a quelli non la do vinta”».

LO STRESS E IL MALORE«Si disse che avevo avuto un malore, ma era molto di più. Finché non me l’hanno detto non ci credevo:“Per una cosa come la sua ci sono rimasti in tanti”. Si figuri che prima di entrare in sala operatoria chiesi: “Ma devo lasciare il telefono?”. Nove giorni in terapia intensiva, più di là che di qua, ma me l’ero cercata: chiari sintomi di stress a livelli di guardia e andai con la squadra a Napoli fregandomene del fatto che me l’avesserovietato. LaLaziosi giocava i preliminari di Champions, io qualcosa di più: c’era poco da sentirsi eroi, il giorno dopo ero sotto i ferri. Se hai l’ossessione del lavoro a volte ti serve un segnale: “Mortale, hai dei limiti: la vita va avanti senza di te”. Da allora c’è qualcosa di più importante di una cosa importante come il calcio: lavoro anche più ore ma gestendo lo stress, e così lavoro meglio. E lo scorso dicembre, dopo dieci anni, ho fatto la prima vacanza con la famiglia, che non poteva rimetterci sempre. Otto giorni a Dubai, non ci credeva nessuno».

PASTORE«Il primo anno di lavoro feci  poco per scelta: volevo capire come funzionava e il mancato acquisto di Pastore è il mio più classico passo falso da gavetta. Ero d.s. da due settimane e Simonian mi mandò un suo dvd. “Top”, mi dissi: ma feci l’errore di parlarne con due agenti, mi fecero credere che Simonian non c’entrasse nulla con il ragazzo. C’entrava eccome: convinsi Lotito a proporre 2,8 milioni per metà cartellino, ma se l’era già preso lui, visto che non gli avevo fatto sapere più nulla, e da allora diffido di certi agenti. Anche quelli di De Vrji? No, la percentuale della sua agenzia non c’entra nulla. All’inizio diffidavano di me i miei ex compagni: gelosie e retropensieri rallentavano la mia crescita da dirigente ma dovevo essere paziente, anche se non è nella mia natura. Mi ha salvato il mio approccio: o bianco o nero, sempre. All’inizio può essere dannoso, alla fine paga». 

INZAGHI«Inzaghi alla Juve? Non mi dà fastidio sentirlo: si cresce, ma devono ancora succedere cose e passare un paio di anni. Dissero che lo sponsorizzai per far giocare chi volevo io – e ora tutti saliti sul carro – ma la scelta finale fu di Lotito. Simone doveva andare a Salerno, vedemmo Mazzarri, Sampaoli, Prandelli, Ventura: più parlavamo con altri, più capivamo che nessuno come lui poteva incarnare e trasmettere lazialità, e senza bisogno di una sciarpa addosso. Lotito era teso come un padre con un figlio: è la cosa giusta? Ma proprio nei giorni della decisione, a Simone ho visto in faccia una lacrima da tensione: ci teneva da morire».

MINACCE«Sì, tante: anche di morte. Lettere, telefonate, sms, e tre schede del cellulare cambiate: il mio numero finiva in rete, e so chi ce lo metteva. In questi dieci anni qualcosa di me è morto ma io sono così, non mi do per vinto, e ora è la mia sfida: non smettere di far contestare Lotito, quella è una conseguenza, ma far crescere questa piazza. Non per cambiare il sistema ultrà, ma per trovare un modo di andare avanti insieme, con gli ultrà: convincendoli che la Lazio è un club da 35-40 mila spettatori a partita, non 22-25 mila. E a credere nel nostro progetto: perché il calcio senza tifosi non ha senso».

SUPERCOPPA«La vittoria per 2-1 lì non è stata la nostra partita più bella di quest’anno, ma la più importante. Quella della definitiva convinzione di essere una squadra forte e ce lo dicemmo fra primo esecondo tempo, perdevamo ancora 1-0: “Oggi vinciamo: hanno paura di noi”. La Supercoppa italiana poteva essere stata un caso, ma quel giorno ne fummo sicuri: non era stato un caso. Non lo è stato neanche la mini crisi di fine gennaio-inizio febbraio:dati alla mano il periodo della stagione in cui abbiamo corso di più, dunque si è trattato più che altro di un calo di tensione. Sì, quello che la Juve non ha quasi mai».

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