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Editoriale

La spontaneità di chi ragiona col cuore. Ma che ne sanno gli altri cosa vuol dire essere laziali…

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La serata tra Lazio e Milan decisa da Alessio Romagnoli. Artefice di un destino che mai avrebbe voluto scrivere

Difficile capirlo se non lo provi. Difficile spiegarlo a chi non lo è. Difficile esserlo se non lo sei. Diapositive di una partita infinita scorrono e si rincorrono. Ognuno legherà il suo personale ricordo a questa semifinale, brutta e bella, amara e emozionante. C’è tutto. Anche la neve. E poi infine nell’attimo che decide se sarà Inferno o Paradiso, ecco arrivare una fresca ventata di LAZIALITÀ. Per molti triste, per altri tremendamente romantica. Attimi di paura quando dal centrocampo spunta in un mucchio di maglie bianche Alessio Romagnoli. Chissà i pensieri, le paure, le sensazioni nella testa di un ragazzo vicino al diventare uomo, ma rimasto bambino nella sua Curva Nord. Il tiro, e poi…? Poi c’è tutto quello che è sinonimo di amore, calcio, romanticismo. L’emozione dopo un gol. L’esultanza, sempre istintiva. Certo, l’istinto. Quello che non ti fa ragionare, ma ti induce a prendere decisioni spontanee, provenienti dal cuore.

LAZIALE – Impassibile, indeciso, felice a metà. Esultare o no? L’avrà pensato in quella camminata struggente di 50 interminabili metri che lo dividevano dal dischetto del rigore. Avrà pensato: «Perché proprio io? Perché così?». Inutile negarlo, lo abbiamo pensato tutti. La rincorsa e il gol. Poi tutto ciò che vuol dire essere laziali. In una foto. In un’istante c’è quel senso di appartenenza che quando ti rapisce non ti lascia più. Qualche milanista potrà esserla presa con Alessio, artefice di un destino che mai avrebbe voluto scrivere. Proprio quei tifosi, quelli che pensano che sia solo un gioco, mai sapranno cosa vuol dire essere laziali. Mai capiranno la sofferenza di un ragazzo costretto a giocare con la maglia della Roma, per offrire un futuro diverso ai propri genitori. Ieri Alessio ha provato involontariamente a spiegare a tutti cosa vuol dire essere laziali. Pochi gesti, ma significativi. Niente di più semplice, niente di ragionato, tutto venuto dal cuore. Per tanti può avere il sapore della beffa, ma in una serata amara Alessio Romagnoli ha spiegato a tutti che quei colori, quel simbolo e quella curva, una volta che ti entrano dentro, poi non escono più.

QUANTO E’ BELLO ESSERE LAZIALI – Una vita sofferente, fatta di stenti e poche gioie. Poche, ma buone. Una vita e una storia che ti fanno gonfiare il petto anche in serate struggenti come quella di ieri. C’è sempre qualcosa di cui vantarsi quando si è laziali. Diversificarsi, distinguersi ovunque, perché senza presunzione quel che siamo noi non lo è nessuno. Essere laziali ti obbliga a crederci sempre pur quando la testa e il fisico ti dicono di mollare. Essere laziali vuol dire provare a cambiare il finale in un libro già scritto. Essere laziali vuol dire soffrire fino alla fine, anche quando tutto sembra essere facile. In virtù di tutto ciò, quella di ieri è stata una serata da ‘laziali’. Lo sarebbe stata se avessimo vinto e lo è stata pur avendo perso. La fotografia personale data alla serata di ieri resterà impressa in eterno in un immaginario album dei ricordi. Per molti sarà stato un incubo, per tanti altri motivo di sfottò e di goduria, ma quei secondi amari e allo stesso tempo belli, mi hanno fatto capire ancora una volta quanto è bello essere laziali. A chi vi dice di essere illusi, patetici e di emozionarsi per poco, non date retta. Non capiranno mai cosa vuol dire esser malati e non volersi curare. Riavvolgo il nastro e penso a Chinaglia, D’Amico, Giordano, Nesta. Tutti privilegiati che hanno avuto la fortuna di giocare nella squadra che amano. Alessio ha dovuto ‘tradire’ quella maglia per 10 anni. L’ha fatto per inseguire un sogno in cui ha creduto insieme alla sua famiglia:  «I miei avevano un alimentari, facevano cento km al giorno per portarmi a Roma agli allenamenti, hanno venduto il negozio e puntato su di me, e hanno vinto». Dal 2015 Alessio è un calciatore del Milan e ha smesso di fingere. Non perde mai occasione di dimostrare la sua lazialità e ieri l’ha fatto nel modo più bello. Spontaneo, leale, fiero. Come la storia da 118 anni insegna. Di fronte a quella Curva che lo ha visto crescere e appassionarsi al calcio. Si è innamorato con la Lazio di Inzaghi, quella più forte del Mondo. Nessuno avrebbe voluto essere nei suoi panni ieri. I panni di che dovrebbe esser felice, pur sapendo di essersi fatto un torto. Tra tante fotografie io prendo la più struggente, la più emblematica, la più significativa. Quella agrodolce, quella che ti fa soffrire e allo stesso tempo capire di essere speciali, diversi, LAZIALI. Gli occhi al cielo come a voler dire: “Cosa ho fatto?”. Il volto di chi prova ridere, ma non ci riesce. Ironia della sorte, il destino ha regalato proprio a lui la penna per scrivere l’ultimo capitolo di una partita infinita. Bene, adesso la partita è finalmente finita. La tua carriera è appena iniziata. Caro Alessio, ieri le nostre maglie erano diverse. Uno ha dovuto piangere, l’altro sorridere, anche se tu probabilmente hai fatto entrambe le cose. La speranza è quella un giorno di ridere e piangere insieme. Nella gioia e nel dolore, come la Lazio insegna. Nella serata più brutta, la fotografia più bella. Caro Alessio, il laziale oggi guarda te e capisce di essere diverso. La speranza, il sogno: un desiderio comune. Quello che tra qualche anno, un bambino con addosso una maglia biancoceleste possa rispondere ai suoi amici: «La 13 di Nesta? No. Di Romagnoli».

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