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Moccia racconta la sua fede biancoceleste: «La Lazialità è dolore e gioia»

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Federico Moccia, regista e scrittore, racconta il suo essere laziale. Da Maestrelli a Inzaghi, la Lazialità in un’immagine

«La Lazialità è un’eco lontana che si ripete in una valle di fatica e dolore, di gioia e successo», parla così Federico Moccia. Regista, scrittore e tifoso laziale. Racchiude in una manciata di parole la Lazialità. Parola che risuona forte nel mondo biancoceleste, in questi giorni. «Rappresenta la bellezza di un simbolo che ricordo da quando avevo 10 anni, ossia lo scudetto della Lazio ‘74. Si festeggiò di notte, in una Roma ben diversa da quella di oggi. Per me essere laziali, vivere la lazialità, è amare la bandiera, è anche rispettare i cugini nemici. A me, ad esempio, piaceva la Roma di Totti perché era un nemico di valore. Quando si battevano, o si pareggiava contro di loro all’ultimo minuto, era il bel risultato raggiunto». Un amore, quello per la Lazio, che – come tradizione vuole – gli ha trasmesso il papà. Le domeniche trascorse allo stadio ammirando le magie di Chinaglia e Re Cecconi: «La lazialità è anche l’aver faticato per raggiungere lo scudetto del ‘74, è averlo raggiunto attraverso grandi personaggi come Maestrelli. Personaggi che hanno avuto nella loro stessa vita, nel loro comportamento, nel loro atteggiamento, una storia a sè». 

INZAGHI – E poi continua – durante l’intervista rilasciata al Corriere dello Sport – sulla bella scena regalata da Inzaghi e il figlio Lorenzo: «Come i Maestrelli. E’ una immagine bellissima. Nella storia della Lazio, quasi per assurdo, ci sono immagini che si ripetono nel tempo ribattendolo».

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