Lazio, Cragnotti: «La mia era una grande squadra, ha vinto poco rispetto a quanto meritava»
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Lazio, Cragnotti: «La mia era una grande squadra, ha vinto poco rispetto a quanto meritava»

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Lazio, Cragnotti ricorda gli anni della sua dirigenza e il rammarico di aver vinto poco rispetto a quanto effettivamente meritato

Basta nominare la Lazio di Cragnotti per far riaffiorare nella mente dei tifosi i ricordi più dolci. Anni di di stelle che dominavano il panorama europeo e riempivano le bacheche coi trofei più importanti. A ricordare quel periodo è lo stesso ex presidente che – a Radio Incontro Olympia – ha parlato così: «Ai tempi eravamo una grande squadra e purtroppo abbiamo vinto poco rispetto a quello che meritavamo. La colpa è di Veron (ride ndr) perché giocava solo quando voleva. Ricordo che una volta non volle partire per una trasferta a Torino, poi con pazienza Eriksson lo andò a prendere a casa e ce lo portò. Scherzi a parte, Veron è stato una grande stella. Oggi giocatori come lui non ce ne sono in Serie A. Credo che anche il calcio sia cambiato, oggi c’è molta fisicità e poca tecnica e quindi non si vedono tanti giocatori di qualità».

VAR – «Con la VAR la mia Lazio avrebbe senz’altro vinto il campionato precedente a quello che poi abbiamo conquistato. In ogni caso oggi è un altro mondo, non solo per il discorso VAR. Oggi le società di calcio sono delle finanziarie, i presidenti sono molto distaccati dal rapporto col giocatore. Noi avevamo invece un dialogo continuo e questo creava una grande protezione e la concezione di capire i momenti critici del giocatore stesso. Oggi più che mai, servono i soldi per vincere. I mercati sono diventati globali, i giocatori di medio livello costa 30/40 milioni. Occorrono i bene strumentali, come lo stadio, per far lievitare gli introiti».

LAZIO E BORSA «Non mi sono pentito di aver fatto entrare la Lazio in borsa. Veron ha spiegato che in Argentina le società appartengono ai tifosi e sono delle attività sociali. Le azioni non dovevano rappresentare le attività di un finanziere che investiva e valorizzava il proprio rapporto con la borsa, bensì che i tifosi avessero nel proprio cassetto queste azioni e potessero partecipare nella vita sociale della società. Poi questo progetto è fallito perché è mancato il rapporto con la tifoseria. Io ricordo che a Formello venivano tifosi a dirmi che avevano guadagnato. Questo però è un concetto molto difficile a farsi».

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