Gabriele Paparelli: "Le priorità di mio padre erano la famiglia, il lavoro e la Lazio" - Lazio News 24
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2014

Gabriele Paparelli: “Le priorità di mio padre erano la famiglia, il lavoro e la Lazio”

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A 35 anni dalla morte di Vincenzo Paparelli, il figlio del tifoso biancoceleste, Gabriele, è stato intervistato dal programma “I laziali sono qua” di Elleradio e ha ricordato il padre e il suo attaccamento alla Lazio.

Gabriele oggi è la ricorrenza del 35° anno dalla morte di tuo padre. Cosa è significato per te essere Gabriele Paparelli?

“E’ significato dover piangere ogni giorno il proprio papà. Ci sono stati aspetti molto brutti. Io e la mia famiglia abbiamo dovuto cambiare spesso casa per via di minacce e frasi ingiuriose. La cosa più bella è stata la dimostrazione d’affetto che il popolo laziale ci ha donato tutti giorni nel corso degli anni”.

Quando successe la tragedia tu avevi 8 anni. Che ricordo hai di tuo papà?

“Ricordo parecchie cose di lui, ci voleva molto bene. Era un uomo che lavorava molto, ma non faceva mai mancare l’affetto verso la sua famiglia. Le sue tre priorità erano: famiglia, lavoro e Lazio”.

Qual è stato il momento più bello da laziale e quello in cui ti sei più emozionato pensando a papà?

“Il momento più bello da laziale è legato allo Scudetto vinto con Cragnotti. Quello in cui mi sono emozionato di più pensando a papà è stato un Lazio-Messina di dieci anni fa. Feci un discorso in mezzo al campo e i tifosi fecero un applauso scrosciante. In quel momento sentii che mio padre era lì con me…”

Senti Gabriele, tu hai una bambina di 2 anni e mezzo, Giulia. L’hai mai portata allo stadio?

L’ho portata il 12 maggio scorso alla serata “Di Padre in Figlio”. Onestamente ancora non me la sento di portarla in una partita di campionato. Ogni volta vengo assalito da un misto di gioia e di paura”.

Che messaggio vorresti lanciare ai tifosi di tutta Italia?

“Lo sfottò è giusto e non deve mai mancare. Quello che dovrebbe uscire dal calcio è la violenza. Dietro il nome di mio padre c’era una famiglia che ha sofferto. Spero che, con la mia testimonianza, la gente capisca che lo stadio è un posto dove bisogna solamente tifare, non uccidere”.

 

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