Disegnello: «Curva Nord unica per stile. Mentre dipingevo Fabrizio ho pianto» - ESCLUSIVA
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Disegnello: «Curva Nord unica per stile. Mentre dipingevo Fabrizio ho pianto» – ESCLUSIVA

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Oggi in esclusiva abbiamo parlato con l’ideatore delle meravigliose coreografie che hanno reso la Curva Nord la più bella fra tutte

La Lazio quest’anno ha realizzato una delle migliori stagioni di sempre anche grazie al calore del suo pubblico, che trova il cuore pulsante nella Curva Nord. I tifosi biancazzurri si sono sempre contraddistinti sugli spalti, oltre che per il calore, per le scenografie che hanno impressionato tutti, anche fuori dall’Italia. L’autore di tutto ciò (insieme ad altri ragazzi) è Massimo Di Clemente, meglio conosciuto come Disegnello. Oggi in esclusiva ci ha raccontato gli oneri e gli onori del suo ruolo.

Da anni sei l’ideatore ed il realizzatore degli spettacoli in Curva Nord. Com’è nato tutto?

«É tutto partito da un incontro particolare, fa un po’ ridere come situazione (ride ndr). Avevo 13/14 anni e la sera giravo in motorino ed una volta capitai a Ponte Milvio con un mio amico e ci fermammo a mangiare un panino vicino l’obelisco davanti l’Olimpico. In quel momento incontrai due ragazzi che facevano parte già della Curva (li incontravo spesso allo stadio) e li salutai. Gli dissi che io sapevo disegnare e sarei stato disposto a dargli una mano qualora servisse. Gli diedi il mio numero fisso dato che all’epoca non c’erano ancora i telefonini e successivamente mi chiamarono dalla sede perchè avrebbero dovuto fare degli stendardi. Ho iniziato così, poi piano piano iniziammo a fare qualcosa sempre di più grande. Ora quel ragazzo è il mio migliore amico. La prima scenografia fu ‘Cmon Guys‘ e poi venne tutto in automatico. Quella in particolare nacque da un incontro con Gazza (Paul Gascogne ndr) in sede: una sera venne e ci portò tantissime casse di birra, tra cui la Corona perchè ne andava matto. Io stavo facendo degli stendardi e gli chiesi se ci potesse fare una firma sopra con il pennello. Lui scrisse «Cmon Guys» e da lì nacque l’idea di fare la sciarpa con quella scritta sotto. Quella fu la prima anche se prima ne avevamo provato a realizzare altre. Venne realizzata in una piazza con le vedette per non far avvicinare i romanisti, perchè non avevamo ancora capannoni, ma iniziò a piovere e quindi la dovemmo chiudere ed andare via. Il giorno dopo l’andammo a finire al Mattatoio vicino ad un centro sociale che chiamò i vigili e quindi dovemmo andare via anche da lì ma alla fine riuscimmo a completarla».

Avresti mai pensato che le tue opere potessero rappresentare il tifo laziale in giro per il mondo?

«Il nostro stile ha sempre affascinato, specialmente le altre tifoserie. Eravamo la novità in quell’epoca, in Italia e non solo. Le cose che facevamo, gli altri le hanno fatte sempre dopo copiando lo stile anche nel modo di vestirsi: partono così gli Orange Jackets, i bomber rigirati arancioni. La nostra maniera di fare tifo fu unica: levammo i tamburi e facemmo il tifo all’inglese con gli stendardi. La scenografia con tutti i vessilli con le croci blu, rigorosamente tutti dipinti a mano, fu unica. C’era voglia di fare e di portare lo stile inglese con la moda nostra: voce e mani protagonisti che furono la novità».

Tutt’ora continua a portare innovazione nel mondo ultras

«Sì, pur rimanendo fedeli al nostro stile. É ciò che ci identifica e ci rende unici».

É più difficile ideare o realizzare una scenografia?

«Entrambe. Realizzarla comporta uno sforzo maggiore perchè se poi non dovesse venire è un bel problema, c’è una bella responsabilità. Tutti ormai si aspettano l’exploit, la magnificenza e quindi ogni volta c’è un impegno creativo nuovo. Non solo ce lo chiediamo noi tifosi laziali, oramai questa domanda penso se la facciano pure in Curva Sud anche se da sempre fanno fatica a comprenderle visto che non ci arrivano. Se ci arrivassero, determinate cose le avrebbero fatte anche loro. Manca proprio la cultura del sapere: basterebbe avere un bel bagaglio culturale e tanta fantasia insieme all’amore, come quello che ci mettiamo noi, per poter essere sempre goliardici ed avere quel piglio che rende unico il tifo biancazzurro».

Solitamente quanto tempo serve per la realizzazione?

«Noi siamo un gruppo unito che mette idee, poi ci sta il più fantasioso che rende il tutto unico. Lo spunto va comunque inserito nell’attualità:il momento della squadra, il tifo, se ci sono stati avvenimenti particolari e magari pensare anche al passato (un momento, una maglia, la storia della nascita di Roma e da dove proviene la Lazio con la sua fondazione. Ci sono varie fasi essendoci vari pensieri. Per fare una scenografia bisogna anche guardare all’arte e fare una ricerca sulla ciò che circola intorno a noi. La difficoltà è quella di dover far capire con immagini d’impatto, qual è il messaggio in pochissimi minuti. Per quanto riguarda i teli dipinti, abbiamo sempre trovato i capannoni all’ultimo minuto: 3/4 giorni prima della partita e quindi va fatto tutto in fretta, anche di notte. Non è un lavoro semplice perchè camminare su 50 metri quadrati di stoffa e dipingerli senza sosta spacca le gambe. La tensione poi si fa sentire particolarmente visto che fino all’ultimo non si sa come potrebbe venire. Le ultime specialmente sono state più complicate, con uno studio meticoloso sull’immagine non dipinta e quindi ancora più stressante per chi deve strutturare tutto. Con pochi minuti ti giochi tutto, non facciamo mai prove e quello che viene viene».

C’è un’opera che ti ha dato più soddisfazione delle altre?

«Io direi tutte. Non ce n’è una in particolare perché ogni volta è una battaglia e si vivono emozioni diverse. Dipingere di per sé è soddisfazione. Ognuna è a sé, come ogni giorno della vita che è bello perché ti regala qualcosa».

Ti ha emozionato realizzare la scenografia in onore di Fabrizio (Diabolik ndr)?

«Devo dire di no. Mi ha aiutato a scaricare tutta la pesantezza accumulata in quei giorni. Tutto il bene che provo per Fabrizio, essendoci cresciuto insieme, ed il rispetto che provo per la famiglia è stato messo dentro il dipinto. Si può dire che io sia cresciuto in casa sua quindi è stato importante. All’inizio sembrava che non riuscissi a farla: non trovano mai il posto buono per dipingere, poi una volta cominciato è arrivata la pioggia, come la prima volta, ed avevo iniziato a fare solo l’occhio. Era come se lui fosse lì accanto a me, pronto a scendere giù. Ho pianto molto durante l’esecuzione, pensavo a tutti i momenti trascorsi insieme e lo immaginavo al mio fianco mentre mi diceva, come sempre: «Che dici, viene bene? Ma si capirà?». Il risultato finale è riuscito abbastanza bene, Sono stato contento che anche dall’altra parte mi hanno contattato dicendomi che si fossero commossi. Ha emozionato tutti penso. Il momento in cui le figlie e la moglie si sono abbracciate in campo è stato toccante».

Tu sei anche un grandissimo tatuatore. Ti è capitato di realizzare un tatuaggio per dei giocatori della Lazio?

«Sì, non della rosa attuale ma negli ultimi anni mi sono venuti a trovare molti calciatori. Felipe Anderson, poi Biglia venne a farsi fare il ritratto di Gesù. Mauri, il nostro grandissimo capitano, ha fatto una cosa per il papà e non ha mai voluto mettere una foto. A Murgia sto facendo tutta la schiena e sto finendo un lavoro ad Etienne Tare, figlio del DS. Il mio socio Daniele Caminati ha recentemente tatuato Milinkovic. Francesco Cuomo tatuò Di Canio. Ledesma anche è passato nel nostro studio».

Il lavoro che ti ha lasciato un bel ricordo riguardo il mondo Lazio?

«Quando iniziai feci tutte le serrande e i muri interni degli store Original Fans, fu faticoso. Mentre per quanto riguardo il lato emotivo, sicuramente i disegni dedicati a Gabriele (Sandri ndr) hanno un loro perchè: mi sono ritrovato a fare il suo ritratto a Piazza Vescovio, c’era un silenzio tombale nonostante la piazza fosse piena. Quello fu un momento toccante perchè la settimana prima dell’accaduto ero con lui a parlare fuori dallo stadio: avevamo il pallino di rimanere al bibitaro poco fuori dall’Olimpico ed entrare dopo 15 minuti dal fischio d’inizio. Ho un bel ricordo di lui. Anche il lavoro fatto per il centenario è stato bello. Abbiamo disegnato tutti i capitani dal 1900 fino al 2000, a partire da Sante Ancherani fino a Signori. C’era la figura di Piola, il Generale Vaccaro, avevamo fatto il ritratto di Cragnotti posizionato in Nord e quello del fondatore Bigiarelli in Sud. In Tevere avevamo posizionato i ritratti dei giocatori più iconici: Chinaglia, Re Cecconi, Pulici. Gli stemmi invece furono messi sulla copertura: lavorammo a quel progetto per 20 giorni. Per il telone che coprì la Curva il 26 maggio rosicai perchè realizzai il dipinto e poi fui costretto a vederlo da casa, piangendo dalla felicità come un ragazzino».

In questi anni molte sono state le scenografie goliardiche che hanno caratterizzato i derby. Quale ti è rimasta più impressa?

«Ovviamente quella dove realizzammo la scritta Roma M***a (ride ndr). Mentre di quelle ultime credo la scritta Forza Lazio con i flash dei telefoni: fargli credere che fosse quello il nostro progetto e che fosse venuto anche male. Invece poi abbiamo tirato fuori La Creazione di Adamo. Credo che nemmeno sapessero di chi fossero quelle mani (ride ndr)».

Rimanendo su questa stagione: ti ha fatto effetto quando per la partita di Europa League contro il Celtic, la Curva si è trasferita in Tribuna Tevere?

«Da una parte sono stato anche contento di andare in tribuna per poter riabbracciare i vecchi amici che hanno fatto diventare la Curva Nord ciò che è oggi. Dall’altra mi ha fatto strano vedere il nostro settore chiuso. Comunque è stata una bella novità da non perdere: tutti pensavano di fermare il tifo ed invece hanno solo aumentato la voglia di supportare la squadra. Tevere e Curva insieme è stato bellissimo. Il cuore pulsante, le vene della Lazio siamo noi. Il sangue che scorre lo pompiamo noi, loro lo sanno. Anche la situazione che stiamo vivendo ora a me da fastidio perchè ricominciare la stagione senza tifoseria è come uccidere il calcio».

Pensi che la squadra possa comunque raggiungere l’obiettivo principale anche senza la spinta del suo popolo?

«Secondo me abbiamo vinto già a marzo, quando è stato fermato tutto. É vero che non ci hanno premiato, ma per me la Lazio ha fatto un bellissimo campionato: avevano tutti paura di noi, abbiamo battuto la Juventus due volte per 3-1, abbiamo alzato al cielo la Supercoppa Italiana…c’era una magia bellissima. Sono dell’idea che ricominciare tutto così sia difficile visto che si dovranno giocare tre partite alla settimana. Se hai la rosa lunga è ok. Devi anche sperare che i tuoi giocatori non si infortunino, vedremo se Leiva e Lulic ci saranno quando torneremo in campo. Non dico che il Coronavirus sia stato inventato per fermare la Lazio ma poco ci manca (ride ndr)».

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