Casiraghi: "Arrivai alla Lazio in punta di piedi, pian piano conquistai la fiducia dell'ambiente. Davo tutto per la maglia" - Lazio News 24
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2014

Casiraghi: “Arrivai alla Lazio in punta di piedi, pian piano conquistai la fiducia dell’ambiente. Davo tutto per la maglia”

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Intervenuto a “I Laziali Sono Qua”, trasmissione radiofonica in onda su Elleradio, l’ex attaccante della Lazio, Pierluigi Casiraghi, ha fatto un tuffo nel passato ricordando le sue tre stagioni in maglia biancoceleste.

Martedì 29 ottobre 1996, Sedicesimi di finale di Coppa Uefa, Tenerife-Lazio 5-3. Casiraghi segna il terzo gol biancoceleste arriva al centro del campo, si piega per tirare su i calzettoni e fa un gesto verso la panchina come per dire: «È fatta!». E invece poi la Lazio perse quella partita 5-3. Cosa successe quella sera?
“Uscire dalle coppe facendo tre gol in trasferta… Credo sia un record e non credo ci sia neanche un precedente. Non è successo niente di particolare, siamo incappati in una di quelle giornate che capitano ogni tanto alle squadre di Zeman. Il bello è che hai una squadra capace di fare tre gol fuori casa e poi c’è il rovescio della medaglia, ovvero che in pochi minuti puoi subire tre gol. Era l’emblema del suo calcio, fatto da un potenziale offensivo non indifferente, capace di vincere anche 8-2 contro la Fiorentina, con tanti eccessi e poco equilibrio. Venivamo tra l’altro da un periodo dove le cose non giravano tanto bene neanche in campionato”.

Passiamo alle note liete. Citavamo Lazio–Fiorentina dove hai fatto quattro gol. Credo non ti sia capitato altre volte…
“Neanche in allenamento. Tra l’altro in quella partita ne sbagliai anche altri tre o quattro. Una serata incredibile contro una squadra di grande livello, ma quel giorno non ce n’era per nessuno”.

Con Signori formavate una coppia d’attacco niente male. Com’era giocare con Beppe?
“Io ho avuto la fortuna di giocare con tanti campioni, che avevano caratteristiche diverse dalle mie e con i quali mi sono integrato sempre bene. Beppe credo sia stato per quattro-cinque anni il più grande bomber italiano. L’aver vinto tre volte la classifica marcatori ne è la prova. In quel periodo era immarcabile. Spesso ci faceva vincere le partite da solo. Se aveva spazio e tempo di tirare dentro l’area di rigore era quasi sempre gol”.

Tutti ricordano il tuo gol in rovesciata nel derby e l’esultanza sfrenata. Tu che venivi da un’altra realtà, come hai vissuto il primo derby?
“Il primo derby lo devi assaporare. Venivo dai derby di Torino, dove c’è molta rivalità, ma soprattutto dal lato dei granata nei confronti della Juve, anche come storia dei successi avuti. Invece tra Roma e Lazio c’è più equilibrio e quindi il derby è più combattuto. In quel periodo poi entrambe le squadre non lottavano per lo scudetto, quindi il derby era la partita dell’anno. Il primo è stato più d’ambientamento. Ho assaporato più quelli dopo. È una partita che si inizia a vivere già giorni prima e la tensione è palpabile da parte di tutti. Negli anni precedenti i derby non sono mai stati spettacolari dal punto di vista del gioco. Sempre partite molto tirate e tanti pareggi. Dagli anni novanta le cose sono migliorate, soprattutto per la Lazio. Io personalmente ne ho perso solo uno di derby”.

Che tipo di rapporto hai avuto con i tifosi della Lazio?
“Ho avuto un rapporto particolare con i tifosi. Sono arrivato dalla Juve per scelta mia. Avevo la possibilità di giocare e credevo nel progetto di Cragnotti. All’inizio sono arrivato in punta di piedi, quasi a chiusura del mercato estivo. Non c’è stato subito entusiasmo, volevano prima mettermi alla prova. Poi ho conquistato la fiducia dell’ambiente partita dopo partita. Credo sia stato apprezzato il fatto che davo tutto per la squadra, non tiravo mai indietro la gamba, avevo coraggio – che poi erano le mie caratteristiche principali – e questa cosa è stata apprezzata dalla gente. Questo affetto, tra l’altro ricambiato, è genuino perché nato in maniera spontanea”.

E con la squadra?
“Il gruppo era molto bello. C’era un ottimo rapporto dentro il campo. Sono anni in cui mi sono divertito. Con molti compagni – come Cravero, Fuser Rambaudi, lo stesso Beppe – è nata un’amicizia, tant’è che ci sentiamo ancora. In quegli anni i rapporti interpersonali all’interno di uno spogliatoio erano diversi. Quella squadra era forte, ma la vera forza era il gruppo. Oggi questo è più difficile, il calcio è cambiato…”.

In allegato il podcast dell’intervista

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