Peruzzi: «Do il massimo per aiutare la Lazio. Il derby della Capitale? Il più importante in Italia!» - Lazio News 24
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Peruzzi: «Do il massimo per aiutare la Lazio. Il derby della Capitale? Il più importante in Italia!»

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Angelo Peruzzi si è raccontato in una lunga intervista a Lazio Style Channel. Una chiacchierata a 360° in cui vengono toccati argomenti passati e presenti.

 

Che uomo è Angelo Peruzzi?
«Una persona tranquilla, un uomo fortunato perché ha fatto nella vita quello che gli piaceva fare. Ho giocato a calcio e ho una bellissima famiglia».

 

Che ricordi hai dell’esperienza di Verona?
«Ero un ragazzino, avevo 18 anni. È stata una bellissima esperienza. L’anno dopo è stato molto travagliato perché c’è stata la squalifica. Poi nella sfortuna ho avuto la fortuna di andare alla Juventus, una delle squadre più forti d’Italia».

 

Uno dei pochi ad aver vinto tutto quello che c’era da vincere, Mondiale compreso…
«Non ho mai giocato la Coppa delle Coppe, però sia con il club che con la Nazionale mi sono tolto delle belle soddisfazioni».

 

Nella tua ultima partita, contro il Parma, hai ringraziato tutti per averti sopportato. Cosa intendevi?
«Quando stai tanti anni in una squadra alle volte fai bene, altre volte fai male. È come in una famiglia, ti devi sopportare a vicenda. Alcune volte stai bene, altre volte ci litighi, altre volte ti sopporti. Ci devono essere tutti questi ingredienti. Dopo sette anni non puoi dire che è andato sempre tutto bene, sarei ipocrita. Penso di aver dato tanto alla Lazio, così come ho ricevuto».

 

Qual è stato il tuo primo pensiero una volta che hai smesso di giocare? Ora cosa faccio?
«No, quello no. Quando ho deciso di smettere non è stata una cosa arrivata dall’oggi al domani, ci ho pensato per tutta la stagione. Avevo diversi problemi fisici e quando uno va al campo di allenamento e vorrebbe allenarsi per bene e sa che non lo può fare perché ha questo o quel problema allora è giusto smettere. Non ho rimorsi o rimpianti, però pensavo che specialmente il primo anno mi sarei dato alla pazza gioia (ride ndr.). Sarei stato più con la famiglia dopo 20 anni che giocavob a calcio. Avrei vissuto al mio paese tranquillamente e dopo due anni avrei visto quello che succedeva».

 

Tu hai due figli giusto?
«Sì, il maschietto ha la passione per il calcio e gioca portiere nella squadra del paese. La figlia invece fa tutt’altro».

 

Tante partite in carriera. C’è un episodio che ricordi con maggior piacere?
«Ce ne sono tanti. È normale che quando raggiungi determinati obiettivi ti rimangono più le vittorie, però penso che non ci sia solo la partita. Sicuramente è bello vincere la Champions perché dà corpo a tutti i sacrifici che hai fatto, ma per chi ama giocare a pallone è bello anche vincere una ‘partitina’. Magari una tirata, anche tra compagni, te la ricordi anche dopo anni. Mentre una di campionato dopo un po’ può darsi che te la dimentichi».

 

Qual è l’alchimia giusta per raggiungere gli obiettivi?
«Gli ingredienti giusti non li sa nessuno, è questo il bello del calcio. È un’insieme di cose che riesce a sbocciare, magari anche cambiando tutto un anno dopo l’altro si riesce comunque a vincere».

 

Sei stato compagno sia del ds Igli Tare e del tecnico Simone Inzaghi. Cosa si prova a vederli in altre vesti?
«Non ce li facevo. È logico che uno quando gioca non sta a pensare a queste cose, me li sono ritrovati qui e stanno facendo benissimo».

 

I tifosi ti ritengono un’icona del calcio. Senti questo peso?
«Molti tifosi hanno più militanza di me nell’ambiente Lazio. A me fa piacere che i tifosi abbiano me come icona, è logico che sono contentissimo. Quando sono arrivato qua, la prima cosa che ho detto, anche a chi ci lavorava, secondo me una squadra di Serie A è come una macchina di Formula 1: le varie parti sono i giocatori, il volante è l’allenatore e i più piccoli componenti sono i dirigenti, i magazzinieri e tutti gli altri. E se anche una vite non è stretta bene, la macchina non va. Così deve essere la Lazio, dobbiamo essere un gruppo, altrimenti la macchina non va».

 

Come viene vissuto il derby a Roma?
«È logico che viene vissuto in modo differente rispetto alle altre città. I problemi sono sempre gli stessi. Come animosità e partecipazione quello di Roma è il più importante. Ma anche quello di Milano è molto importante. Il derby di Torino è quello un po’ più tranquillo, si riusciva a gestire bene».

 

Com’è essere club manager?
«È un lavoro totalmente nuovo, che non ho mai fatto. Dove ho incontrato delle difficoltà, voglio fare bene. Cerco di dare tutto me stesso per cercare di dare quel qualcosa in più alla società».

 

Qual è il tuo ruolo esattamente?
«Non mi interessa della nomina. La prima volta che ho incontrato i giocatori gli ho detto che qualsiasi problematica che avevano, di qualunque natura, me la venissero a dire e io avrei fatto di tutto per risolverla. Ho fatto anche l’allenatore, ma secondo me non era il mio ruolo. A fine carriera mi ha chiamato Lippi e mi ha chiesto di fargli da secondo. Allora sono andato a Coverciano per tre/quattro settimane e prendere il patentino di terza».

 

Capitolo portieri: sono i più matti di tutti, i più estrosi?
«Non penso assolutamente che sia così. Io da piccolo avevo come idolo Dino Zoff e tutti mi dicevano che non si tuffava mai. Pensa quanto è intelligente, rispondevo io. Fa a meno di tuffarsi, è più bravo di tutti. Per un portiere fare la parata più facile possibile è la cosa migliore che puoi fare».

 

Qual è la cosa più pazza che hai visto fare nel mondo del calcio?
«Una delle cose stranissime è stata Massimo Oddo che ha tagliato i capelli a Camoranesi dopo la finale dei Mondiali. Simpatico ma non te lo aspetti dopo una partita del genere. E sempre in quella sera la testata di Zidane a Materazzi. Con la Juventus Zizuo aveva fatto una cosa simile in Champions League però non era arrivato a tanto».

 

Com’è stato lavorare con Grigioni, il preparatore dei portieri?
«Innanzitutto è una persona seria, che sa fare il suo lavoro e ci mette una passione incredibile. È questa la sua forza: sia che allena un ragazzino che un portiere di Serie A per lui è la stessa cosa».

 

C’è un’anima viterbese in questa squadra? Ci sono Farris e Lombardi, poi Rossi in Primavera…
«Sì, fino adesso c’era solo Bonucci in Serie A. Fa piacere perché sono sempre stato legatissimo alla mia terra. Vedere che molte persone siano in questo ambiente».

 

Ti senti un predestinato?
«Non credo. Tutto quello che ho avuto me lo sono sudato».

 

Ti senti immortale, anche dopo la vittoria del Mondiale…
«Ci sentiamo spesso, soprattutto per i compleanni. Anche per parlare con chi fa gli allenatori, magari anche per farsi i complimenti».

 

Cosa fa Peruzzi nel tempo libero?
«Principalmente sto a casa, sto con la mia famiglia. Mi piace molto la campagna e sto fuori dal paese nella mia casa vicino Blera. Qualcuno mi dà del contadino, ma per me è un complimento».

 

Essenzialità è una parola che senti tua?
«Non lo devo dire io. Mi auguro sempre che le cose che faccio le faccia bene. Poi sono gli altri a giudicare. Quelli che si giudicano è perché si vogliono tenere la poltrona o perché si vogliono fare belli. Io ho sempre pensato a lavorare, a fare quello che dovevo fare, facendolo con tanta passione e sacrificio».

 

A livello generale, tu affronti le partite nello stesso modo?
«Da calciatore vivevo le partite molto serenamente, anche perché giocandole riuscivo a gestire la tensione. Adesso che sono dirigente della Lazio le vivo molto, faccio fatica a stare fermo. Sono molto nervoso. Essendo dirigente non puoi dare quello che vorresti, cerchi di dare una mano alla squadra anche se non sul momento non puoi fare niente».

 

Ti senti un po’ il ‘Normal One’?
«Sicuramente, anche perché io non c’entro niente con Mourinho. Tanti anni fa, quando ero alla Juventus, una sera parlavo con Marocchi e Vialli. Io e Giancarlo prendevamo in giro Vialli, che era la superstar all’epoca, e gli dicevamo che lui faceva tutte le cose per avere il titolone sul giornale, mentre a noi non ce ne fregava niente. Forse questo è un bene. Io dicevo a Gianluca: “Più si fa una vita normale e più si ottiene quello che si vuole ottenere”. È logico che la popolarità ti porta a essere qualcosa che non vorresti essere».

 

Hai una colonna sonora particolare?
«Da giovane ascoltavo molto i Dire Straits, mi piaceva il cantante Mark Knopler. Ma anche la musica italiana: Baglioni e gli altri».

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