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Parolo-Nainggolan: la differenza tra noi e loro

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Poche ore al derby della Capitale. Tra i protagonisti, Parolo e Nainggolan sintesi perfette dei due schieramenti

Roma-Lazio. Lunch match. Stomaco chiuso, mani sudate, fiato corto e cuore pulsante. Di certo non ci sarà spazio per l’appetito. Nessuna lasagna della domenica in tavola quindi, ma solo urla cacciate fuori con rabbia ed adrenalina che sia dal divano di casa o dai gradoni dell’Olimpico. Non sono i tre punti, non è l’Europa, non è la classifica: è semplicemente il derby. L’eterna lotta tra le due sponde del Tevere, storia e tradizione, valori ed atteggiamento si incontrano e si scontrano, ancora una volta. A rappresentare i due schieramenti in campo Nainggolan e Parolo, il diavolo e l’acqua santa, sintesi perfette di Roma e Lazio.

NAINGGOLAN – Cresta bionda, un manto di tatuaggi a coprirgli il corpo, sguardo sfacciato e sicuro di sè. E’ Radja Nainggolan. L’emblema del mondo giallorosso, spavalderia e sbruffonaggine i suoi tratti distintivi. Certo, la sua esuberanza sarebbe vana se dietro non ci fossero tecnica e classe. Nazionalità belga, nelle vene del giocatore scorre anche sangue indonesiano, quello del papà. Da trequartista a mediano, un vero e proprio jolly in grado di far male in ogni parte del campo. Esplosivo nelle gambe, nel cuore la rabbia agonistica, tra i denti il coltello di chi scende sul campo per lottare. Dagli addetti ai lavori è stato etichettato come uno dei migliori d’Europa nel suo ruolo. Un profilo, dunque, degno di lode anche se nella Roma biancoceleste, più delle sue giocate, sono apprezzate… le sue profezie. Prima delle due stracittadine di Coppa Italia aveva dichiarato pubblicamente che la sua squadra avrebbe battuto l’undici di Inzaghi sia all’andata che al ritorno. Questa volta non ha fatto proclami, ma chissà, un sogno premonitore che non ha voluto condividere…

PAROLO – “Parolo, Parolo, Parolo”, si sgola la Nord. Un gioco di parole, un leader. Perchè questo è Marco. Un capo silenzioso, il motorino di questa Lazio giovane ed arrembante. Lui così giovane non è, ma di certo non sono i suoi 32 anni ad impedirgli di macinare chilometri con gli scarpini ai piedi e l’Aquila sul petto. Il primo a prestare la faccia alle telecamere quando qualcosa non va come dovrebbe, quando il meccanismo costruito da Inzaghi s’inceppa. «Non eravamo fenomeni prima, non siamo brocchi adesso, siamo una squadra che vale», così parlava dopo la debacle in casa dell’Inter. Da lì, una corsa che ha portato solo soddisfazioni, merito anche dei suoi inserimenti senza palla. Quelli che bucano la difesa e mandano la sfera sul fondo del sacco. A Pescara ne sanno qualcosa. L’umiltà la chiave di lettura della sua carriera. Ambizione e piedi per terra. Sacrificio e grinta. Sottovalutato da molti, troppi. Alla Lazio il suo riscatto. A 29 anni la vera occasione. 10 reti nella prima stagione e quel vizio del gol che non lo lascerà più. Mediano classico, mezz’ala, regista insomma: un trasformista. Prima la Capitale, poi la Nazionale azzurra. S’è fatto apprezzare da tutti. Nessuno può fare più a meno del ragazzo di Gallarate. Lui, l’antipersonaggio per eccellenza. Lontano dai flash del gossip e dai social, alla sera ad aspettarlo c’è solo la sua Caterina con il figlio Dante per completare quel profilo fatto di normalità che lo fa così grande.

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