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Parolo: «Se giochiamo da Lazio possiamo vincere il derby»

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Marco Parolo carica la squadra alla vigilia del derby contro la Roma, in programma domani alle ore 15

Marco Parolo si racconta: gli inizi di carriera, i suoi idoli, il futuro e molto altro. Ma il primo tema affrontato è quello del derby con la Roma. «Se giochiamo davvero da Lazio possiamo vincere – ha spiegato Parolo al Corriere dello Sport-. E’ sempre una partita a sé e non conta se è un momento migliore per noi e peggiore per loro. E’ una partita singola e si decide al momento. Fino a quando non ho giocato il primo derby non mi rendevo conto di cosa volesse dire. Dopo che lo hai capito diventa una partita nella quale sai che, se hai un’anima, devi dare tutto e devi vincerla. Vedi negli occhi della gente, del tifoso, un’emozione, una gioia incredibile, originale, unica. Tutte le partite sono importanti per l’allenatore, per il giocatore, per la società. Ma il derby è la partita che tu giochi per la gente, per i tifosi». L’uomo decisivo domani? «Io dico Immobile, per noi. E’ un giocatore favoloso, è difficile trovarne altri così. Nel calcio, specie quello moderno con le difese arcigne, se segni molto fai la differenza per la squadra intera. Per loro Dzeko, giocatore che può metterti in difficoltà in qualsiasi momento».

GLI INIZI – «Ho ancora le foto di quando ero bambino e giocavo in casa con la palla di spugna. Poi ho proseguito all’oratorio con gli amici. E a sei anni ho cominciato a giocare nella squadra della parrocchia. Erano i momenti più belli, perché non eri mai stanco e giocavi a tutte le ore e con qualsiasi temperatura, pioggia o no,
neve o no. Ricordo il primo giorno di allenamento: siamo andati insieme io e mio
cugino. Pioveva e io mi ero divertito un sacco a scivolare nel fango mentre mio
cugino, dopo quel giorno, ha detto no, basta, perché ci si bagna troppo».

I MITI DI PAROLO- «Nella stanza c’erano i poster dei giocatori del Milan. Io sono nato a dieci minuti da Milanello e mio nonno mi portava in bicicletta a vedere gli allenamenti. Io aveva affisso con cura sul muro della mia stanza i poster di Maldini, Van Basten, della formazione che vinse la Coppa Campioni ’89. Erano i miei idoli, i miei modelli. Volevo diventare come loro».

FUTURO DA ALLENATORE – «Voglio godermi la famiglia. Ho un bambino di quattro anni. Mi piacerebbe seguirlo, essere molto presente perché negli ultimi anni sono stato evidentemente molto impegnato e non ero quasi mai a casa. Allenatore? Fino a due anni fa dicevo assolutamente no. Adesso, andando avanti con l’età, si acquisisce l’esperienza e si comincia a vedere le partite in un certo modo, si comincia ad avere una propria opinione sulle tattiche, i movimenti, le situazioni di gioco. Non è una cosa che voglio escludere, sicuramente farò il corso per il patentino. Così per sicurezza. Tutti mi dicono che quando si smette di giocare manca l’adrenalina, e viene una gran voglia di essere in campo. Non so, non mi dispiace l’idea di essere padrone del mio tempo e di non avere grandi responsabilità. Io non invidio gli allenatori. Loro deve pensare a trenta persone, invece il giocatore pensa solo a se stesso».

OBIETTIVO DELLA LAZIO – «La Lazio può ripetere il campionato dell’anno scorso se mantiene quelle che sono le sue caratteristiche: l’umiltà, la voglia di
migliorarsi, di crescere e di lavorare di squadra. Abbiamo un gruppo molto importante e possiamo fare un gran campionato».

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