Nesta si racconta: «Il mio calcio era la Lazio. Ecco la verità sull'addio...»
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Nesta a cuore aperto: «Per me il calcio era la Lazio. Il mio sogno era indossare quella maglia a vita»

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Alessandro Nesta si è raccontato a 360° ai microfoni di Umbria24.it, parlando ovviamente della Lazio e della sua esperienza in biancoceleste

Non ha bisogno di presentazioni Alessandro Nesta, tornato in Italia per allenare il Perugia dopo l’esperienza sulla panchina del Miami. L’ex capitano biancoceleste ha riavvolto il nastro e si è raccontato ai microfoni di Umbria24.it

 Come tecnico dove vuole arrivare?

«Perugia è l’opportunità della vita. Ho detto no ad altre due squadre per venire qui. Devo ricominciare da zero, quello che ho fatto da giocatore ora non conta. Devo conquistarmi la stima dei tifosi e dell’ambiente con un altro ruolo».

Qui la Lazio, grazie al gol di Calori, nel 2000 ha vinto uno scudetto. Quella gioia ha influito almeno nell’1% in questa scelta?

«Giornata bellissima, la Juve ha perso qui il tricolore ma non ha influito nella mia decisione (ride)».

Capitolo presidenti. C’è stato Sergio Cragnotti, poi Berlusconi, ora Santopadre.

«Il mio calcio era la Lazio. Quando ho lasciato Roma la società era piena di debiti e per sopravvivere aveva bisogno di fare cassa. Avevo un sogno ed era quello di giocare per sempre nella Lazio ma non ho avuto possibilità di scelta. Hanno provato a farmi passare per il Capitano che voleva andare via ma la realtà era diversa ed è venuta fuori. I presidenti? Prima non li vivevo, facevo gli allenamenti, giocavo le partite e me ne andavo a casa. Adesso è diverso, con Massimiliano Santopadre ci parlo spesso. E’ un uomo ambizioso, sta allestendo e organizzando bene questa società».

Quando si parla di bandiere vengono in mente Francesco Totti e Paolo Maldini. Lei non è considerato una bandiera perché nell’estate del 2002 ha abbandonato la sua città.

«Non credo nelle bandiere. Piuttosto si dovrebbe vedere quale trattamento viene riservato ai giocatori dalle società, se vengono garantiti stipendi alti e, allo stesso tempo, palcoscenici importanti. E’ facile fare la bandiera al Real Madrid, in squadre minori è più difficile. Poi ci sono quelli che hanno avuto offerte convincenti e sono rimasti per attaccamento come Francesco e Paolo. Che, comunque, stava al Milan».

La maglia numero 13 aveva un significato?

«Nessun significato. Un caso. Ero ragazzino, nessuno la voleva e l’ho presa io che ero l’ultimo».

Il neo acquisto del Milan, Caldara, l’avrebbe voluta ma era già impegnata da Romagnoli che l’ha scelta proprio perché era la sua…

«Facciamo moda».

Lei sostiene di essere stato fortunato con gli allenatori perché quelli che ha avuto erano tutti molto bravi. Cosa copierà ai vari Zeman, Zoff, Eriksson, Lippi, Leonardo, Ancelotti?

«Questo mestiere è uno studio continuo e io non voglio essere la brutta copia di nessuno. Quando certe caratteristiche umane non ti appartengono è un errore imitare anche i migliori maestri. Sarò me stesso. Per quanto riguarda la tattica è un altro discorso, mi piace la fase offensiva di Zeman».

Nello spogliatoio di questo Perugia qual è la prima regola?

«Si lavora. Si lavora e si scherza. Anzi, si scherza e dopo si lavora. Sono amichevole con i ragazzi».

In un calcio sempre più atletico, soprattutto in Serie B, la tecnica viene indiscutibilmente penalizzata. A calciatori veloci e fisicamente fortissimi, che sanno quasi solo correre, Nesta – che la gamba dell’avversario non l’ha mai puntata – pretende di insegnare ad accarezzare il pallone?

«Facciamo un passo indietro. Mi segua. La mia generazione, che ha vinto, ha anticipato la Spagna imbattibile di Iniesta che a sua volta ha vissuto anni bui. Solo l’Inghilterra è sempre al top ma non vince mai niente. Tra di noi, quelli nati in Italia tra il 1973 e il 1976, c’è stato davvero di tutto. Semplicemente il talento non si compra. Sono annate. E poi quando giocavo io i campionati erano talmente competitivi che anche tecnicamente crescevi per forza».

I valori che si esprimono in campo quando si è calciatori hanno lo stesso spessore una volta che si passa a guidare una squadra? Gattuso, famoso più per agonismo che per disciplina tattica, è stato confermato in una grande squadra di Serie A.

«Quando smetti di giocare si azzera tutto. Rino ha dimostrato di meritarsi quel posto dopo aver fatto la gavetta al Palermo e al Pisa. L’opportunità arriva ma bisogna farsi trovare pronti sennò ti mandano via. Se un calciatore rimane dell’idea che essere stato un buon giocatore sia sufficiente per allenare ha perso in partenza. Non bastano le partite disputate in Serie A perché allenare è proprio un altro lavoro. Il tecnico moderno deve studiare, deve osservare, si deve aggiornare».

Carletto Ancelotti al Napoli come lo vede?

«Bene. Sono curioso di vederlo all’opera».

Seconda e terza classificata in Serie A?

«Inter e Milan. Il Napoli è a un bivio, continuare a rimanere lassù oppure…».

In campo, con o senza la fascia, ha dimostrato di saper gestire le emozioni con intelligenza. Cosa trasmetterà ai ragazzi delle sue sconfitte più brucianti?

«Certe partite non riesco ancora a spiegarmele. Penso al 3-0 a fine primo tempo contro il Liverpool in finale di Champions a Istanbul persa ai rigori dopo la rimonta dei Reds. Semplicemente non so come siano potute accadere, non saprei cosa prendere perché non so spiegarle neppure a me stesso. Mi sforzerò di insegnare ai miei ragazzi che nel calcio non bisogna mai mollare finché l’arbitro non fischia».

CR7 quanto migliorerà il calcio italiano?

«Già lo ha migliorato. Prima ancora di indossare gli scarpini».

All’estero come viene percepito il nostro campionato?

«Grande storia e grande tradizione, però, almeno fino all’arrivo di Cristiano Ronaldo, un po’ in picchiata. A Miami la più importante emittente tv trasmette le partite di Barcellona e Real Madrid, se poi avanza tempo anche il calcio italiano».

In Nazionale è arrivato Roberto Mancini, forse lo raggiungerà Pirlo. E’ tutto da rifondare.

«Adesso ci vogliono i giocatori, gli allenatori non hanno la bacchetta magica. Qualche buon calciatore sta venendo fuori, la coppia centrale del Milan speriamo cresca in fretta ma deve giocare in Champions per confrontarsi a un livello più alto e fare il salto di qualità».

Tommaso, suo figlio di 10 anni, gioca a calcio?

«La mia famiglia è rimasta in Florida. Tommaso gioca in un’accademia italiana della Juve a Miami da due anni, lo allenano miei amici italiani».

Come risolverebbe il problema dei genitori hooligans?

«C’è anche in Usa. Lì, però, i genitori maleducati vengono buttati fuori. Al secondo richiamo, per un insulto all’arbitro o altri comportamenti indegni, vengono cacciati dal centro sportivo. Poi arriva la polizia e la gente ha paura. E’ una questione di leggi».

Lei non ha mai urlato durante la sua carriera. Pochi proclami, ha sempre risposto con i fatti. A Nesta piace questo governo Lega-M5S?

«Ho vissuto sei anni con Trump, la campagna elettorale tra The Donald e Hillary Clinton non è stata mica uno scherzo. Anche in politica, come nel calcio, è sempre tutto relativo».

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