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Ilaria Cucchi: “Siamo a una svolta. Gli agenti? Per adesso sono in servizio…”

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Non smette di lottare, Ilaria Cucchi. Una battaglia iniziata dopo la morte di Stefano, suo fratello, avvenuta nel 2009. Un ragazzo entrato in caserma per qualche grammo di hashish. Vittima di un “violentissimo pestaggio”, come finalmente lo definiscono i pm: non ne è mai uscito vivo. Sulle frequenze di Radiosei, Ilaria Cucchi ha raccontato la storia di suo fratello e ha fatto il punto sul processo incentrato sul suo decesso: “Sono ormai quasi sette anni che va avanti quella che è ormai diventata una battaglia. Ho trascorso momenti inquietanti. Guardavo quel corpo, quel volto, cercando di capire come fosse possibile che quello, mio fratello, fosse in quello stato, sul tavolo dell’obitorio. Ho capito che tutte le risposte le dovevo trovare da sola. Guardavo mio fratello non riuscivo nemmeno a piangere”.

RESPONSABILITÀ – “Mi sentivo in colpa per non averlo protetto. Adesso lucidamente so che non potevo fare nulla io. Ho mostrato le foto, per mostrare a tutti coloro che hanno avuto il coraggio di guardarle, per far capire come fosse la situazione, perché dall’altra parte c’è un muro di omertà e silenzio. Nel processo si parlava dei nostri trascorsi familiari, della sua magrezza, ma non delle responsabilità. Ho iniziato a seguire anche altri processi, mi sono resa conto che seguono tutti la stessa dinamica: la criminalizzazione della vittima. La nostra giustizia ha due pesi e due misure, debole con i forti, forti con i deboli. Mio fratello era uno degli ultimi. Le persone comuni hanno bisogno di trovare qualcosa, nella vittima, che lo differenzi nettamente per convincersi che a loro non possa accadere. Si finisce a pensare “se l’era cercata”. Si deve avere la fortuna di arrivare a un processo, spesso queste storie vengono archiviate”.

LA SVOLTA – La trafila della giustizia è lunga ma, perlomeno, al di fuori dalle aule le persone si sono rese conto di ciò che fosse accaduto: “Dopo anni, stiamo in un momento di svolta. Io e la mia famiglia non ci sentiamo più soli: si guarda Stefano oltre al pregiudizio, si riconosce quello che è davvero successo. Oggi la giustizia è al nostro fianco. Il pm adesso lo definisce “violentissimo pestaggio”. Nessuno, compresi i medici, in quei giorni ha guardato oltre al pregiudizio: mio fratello è morto per quel violentissimo pestaggio e poi per colpa dei medici. E’ stato messo in quel reparto del Pertini in cui nessuno avrebbe potuto ascoltarlo. Era in isolamento, noi da fuori non sapevamo assolutamente nulla, nonostante insistessimo per avere notizie. Siamo arrivati in un momento in cui si riconosce la realtà. Sono preoccupata, vedo il lavoro enorme, ma ho paura che si possa di nuovo insabbiare con perizie fantasiose, come quelle che abbiamo visto. Ma credo nella giustizia, nei giudici. Non nel perito, le dinamiche purtroppo sono sempre le stesse. Prima era tutto da dimostrare, ora abbiamo vinto: fuori dalle aule della giustizia, ora tutti sanno, tutti hanno capito. Ora tutti sanno che questi fatti li riguardano eccome”.

INDIFFERENZA – Un pestaggio, e poi l’omertà: “In quei sei giorni non è stato solo: è stato in contatto con 140 persone, rappresentanti delle istituzioni. Giudici, medici, infermieri, carabinieri. Rifletto spesso su questo: moralmente li ritengo responsabili per la morte di mio fratello. Avrebbero dovuto compiere un gesto, non di umana pietà, ma dovuto al senso di dovere. Denunciare ciò che stava accadendo. Mi viene in mente la frase di un agente che lo accompagnò nel ricovero. Stefano gli disse che lo avevano picchiato, l’agente dichiarò che da quel momento avrebbe preso le distanze, che ognuno avrebbe dovuto mantenere il proprio ruolo. E quale sarebbe, se non quello di denunciare una cosa del genere?”.

FOTO – Ilaria, dopo aver ascoltato delle aberranti intercettazioni in cui alcuni agenti si vantavano di aver massacrato il fratello, cercò le facce su internet: “Quando è stata chiusa l’indagine, ho riascoltato l’intercettazioni di gente che racconta di quanto fosse divertente picchiare “quel tossico di m****a”. Allora li cercai sui social network per farmi un’idea. Trovai quella foto – un uomo muscoloso in costume da bagno, al mare – non potevo non pensare alla differenza così netta tra quell’uomo e mio fratello, magro, indifeso, che veniva pestato in una caserma”. Dopo il processo, gli agenti sono ancora in servizio: “Sono stati assolti. Tengo a precisare che l’esito è stato questo per insufficienza di prove. Niente prove, niente causa di morte. In tutto quel periodo, comunque, sono rimasti in servizio. Non capisco lo spirito di corpo, il voler difendere i colleghi anche quando sono stati condannati”.

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