Emanuele Floridi: «Infantino ha ragione sul Mondiale biennale, vi spiego»
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Emanuele Floridi: «Infantino ha ragione sul Mondiale biennale, vi spiego»

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Emanuele Floridi, consulente di calcio, media e telecomunicazioni, si è detto favorevole al mondiale biennale proposto da Infantino

Emanuele Floridi, consulente di calcio, media e telecomunicazioni, in una lunga intervista a Panorama ha spiegato i motivi che lo spingono ad essere d’accordo con la proposta di Infantino sul Mondiale biennale. Le sue parole:

«La premessa è che da anni assistiamo a una differente velocità di crescita e cambiamento tra Fifa, Uefa e le singole federazioni. E poi noi in Italia e in Europa siamo già alla saturazione dell’offerta del prodotto calcio mentre altrove c’è fame di pallone e possibilità di investimenti e crescita. Noi siamo logorati, in larga parte del resto del mondo no».

SULLE DIVERSE VISIONI DI FIFA E UEFA – «Ci sono evidenti differenze di visione politica tra le due entità, con la Uefa che oggi è più grande della sua stessa casa madre. Ecco perché sarebbe una grande opportunità raddoppiare il Mondiale e non solo, perché varrebbe anche per l’Europeo o la Copa America. E’ una questione di occupare spazi che altrimenti restano liberi e sono destinati ad essere occupati da altri. Non solo dentro lo sport. Guardate cosa ha fatto l’ATP che si è inventata le Finals per prendersi una parte del calendario prima scoperta. Anche nel calendario del calcio si può e si deve intervenire. E’ sotto gli occhi di tutti che l’attuale sistema delle soste internazionali sia faticoso e poco produttivo».

SULLA POCA CONSIDERAZIONE VERSO I CLUB – «Sono gli stessi club che per primi possono guadagnare dal Mondiale biennale e da una nuova organizzazione. L’industria delle sponsorizzazioni sportive e dell’intrattenimento avrebbe un grande vantaggio nel sapere che esiste una programmazione certa e che si ripete, senza tempi morti. Un prodotto che se non si alimenta rischia di spegnersi da solo e oggi una fetta del prodotto calcio non è organizzato ed è in mano solo ai privati. Accentrato e organizzato varrebbe di più e sarebbe un vantaggio per tutti».

SUL FATTO CHE LA SUDDISIVISIONE DEI RICAVI FIFA HA FUNZIONATO POCO – «Cambierebbe il valore e dovrà cambiare anche il sistema di suddivisione, con un nuovo modello e un nuovo meccanismo che, però, potrà godere di un vantaggio e cioè di poter gestire una torta molto più grande. Quello che succede oggi non è un sistema perfetto. Oggi gran parte del valore viene creato dai primi 4-5 campionati che sono concentrati tutti in Europa, dalla Premier League fino alla Ligue1 se si vuole inserirla. Sono loro a produrre valore che poi la Uefa suddivide in maniera politica a tutte le federazioni, anche se per molti eventi c’è poco interesse sportivo perché già non esiste competitività rispetto a tutto il resto d’Europa».

SULLA SUPERLEGA – «L’idea in sé non era e non è sbagliata, è stato errato il modo e il tempo in cui è stato proposto. Togliere il merito sportivo, ad esempio, è stato un autogol. Ma immaginare qualcosa che abbia un valore complessivo superiore alla fine avvantaggerebbe tutti e l’idea di riformare il Mondiale è la stessa cosa. La Fifa pensa che riempendo gli spazi vuoti e razionalizzando il resto delle attività, dando così meno fastidio a campionati e coppe, alla fine il bilancio sarà positivo per tutti: risparmio economico, meno stress per impegni e trasferimenti e un prodotto più vendibile».

SULLA PERDITA DI APPEAL DI UN EVENTUALE MONDIALE BIENNALE – «Vero, però dare più opportunità significa anche coinvolgere un maggior numero di calciatori e allargare la base. Oggi solo tre giocatori su cento arrivano davvero a un Mondiale, domani potrebbero essere molti di più dando un senso anche all’investimento complessivo che si fa su tutto il sistema. E poi dobbiamo sempre ricordarci che non esiste solo l’Europa».

SUL TRAPIANTO DELLA CULTURA CALCISTICA IN TERRITORI NUOVI – «Questa volta la Fifa sta facendo il ragionamento inverso rispetto a quanto tentato da Blatter in Africa o Nord America. Prima semina e poi proverà a raccogliere cercando di rendere grandi aree geografiche luoghi in cui il calcio possa diventare sport prevalente, cosa che in questo momento non è col rischio che si perda questa ultima occasione, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni che ormai hanno interessi trasversale molto diversi e molto lontani dal calcio».

SU INFANTINO – «Penso che possa farcela a convincere tutti anche perché c’è una forte spinta dai paesi che hanno margine di crescita e in Europa il fronte contrario non è così compatto come sembra. Se tu non riempi quegli spazi, finirà per prenderli qualcun altro ed è un rischio che non si può correre per non finire come in Italia dove ormai il prodotto calcio lo acquistano quasi solo gli over 40 e i ragazzi non si avvicinano. A livello mondiale tutto questo è moltiplicato come ordine di grandezza».

SUL SISTEMA DELL’NBA – «Anche la NBA sta attraversando una crisi di sistema. E’ fortissima sul mercato interno, molto meno quando si esce dagli Stati Uniti con criticità ad essere visto e seguito come prima. Tutti i modelli possono essere rivisti. Il tema centrale è che la digitalizzazione e la revisione dei contenuti obbligano a fare i conti con strutture e approcci che devono essere riprogrammati per intercettare nuove generazioni e nuovi clienti. Ho una convinzione: Che molti alla fine si riposizioneranno sul tentativo che sta portando avanti la Fifa con Infantino. Non è detto sia un modello centrato, ma è un tentativo di riprendersi una centralità che rischia di svanire con ricadute e benefici anche per il resto del contesto».

SUL PIL INDOTTO DAL MONDIALE – «Portare il Mondiale in un paese significa stimolarne la crescita e il calcio, in questo momento, ha meno segnali negativi rispetto ad altre grandi manifestazioni in crisi come le Olimpiadi che nessuno vuole più organizzare per costi e benefici. Per il Mondiale no, c’è fame e spazio per muoversi e innovare».

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