Massimo Maestrelli: «Mio padre come un papà per quella Lazio»
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Massimo Maestrelli: «Mio padre come un papà per quella Lazio»

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A 100 anni dalla nascita di papà Tommaso, Massimo Maestrelli ha voluto fare un tuffo nel passato, raccontando alcuni ricordi

A 100 anni dalla nascita di papà Tommaso, Massimo Maestrelli ha voluto fare un tuffo nel passato, raccontando alcuni ricordi. Queste le sue parole, rilasciate ai microfoni de La Repubblica.

RAPPORTI – «Felice aveva una grande sensibilità, ma mio padre sapeva come prenderlo. Petrelli? Imprevedibile, anarchico e irascibile. Quando aveva i cinque minuti non ce n’era per nessuno. Non era da meno Gigi Martini, che una volta porto me e mio fratello a sparare in campagna. Wilson? Lui era il capitano e l’uomo più rappresentativo,  ma soprattutto l’unico ad avere un certo ascendente su Chinaglia».

ODDI E LA FOTO  – «Fu lui il primo a dirmi di portare una foto di Chinaglia nella cappella di papà a Prima Porta per farli stare più vicini. Da lì poi si sviluppò l’idea di portarci non soltanto la foto, ma Giorgio in persona».

NANNI E GARLASCHELLI – «Nanni spesso litigava in campo con Giorgio perché tirava dalla distanza e finiva per rivolgersi a papà. Renzo era un playboy. Babbo non gli vietava nulla, al massimo gli chiedeva di non uscire nei giorni ravvicinati alle partite».

RE CECCONI – «Lo conoscevamo dai tempi del Foggia. Di solito mio padre non voleva che frequentassimo giocatori, ma con lui era diverso. Veniva a casa e spesso portava me e mio fratello al cinema».

CHINAGLIA – «Babbo lo portò a dormire da noi, perché il clima in città era pesante. Infatti centinaia di tifosi romanisti lo avevano aspettato sotto casa sua. Giorgio li aveva sfidati.  Mi ricordo che, quando io e Maurizio decidemmo di andarlo a trovare a New York, negli anni ’80, fummo suoi ospiti in discoteca, il mitico Studio 54. Vedevi una fila di quattrocento persone in attesa di poter entrare. Invece a noi bastò essere insieme a Giorgio e, in un attimo, porte spalancate. Era una celebrità».

FRUSTALUPI E D’AMICO – «Mario era il più intelligente. Spesso l’ultima parola era sua. Vincenzo era un bambino terribile, di immenso talento e non semplice gestione. Una volta
acquistò una macchina nuova, ma dopo due giorni la distrusse. Così babbo decise di trattenergli lo stipendio per gestirglielo personalmente. La sua famiglia si risentì molto per questo. Oggi invece Vincenzo mi ringrazia per quel gesto: papà gli consentì di amministrare
meglio la sua vita».

SEGRETI – «Una volta, prima di una partita, a notte fonda i soliti quattro erano
ancora tutti chiusi in una stanza a fumare, bere whisky e giocare a carte. Papà li sentì, aprì la porta ed entrò, chiedendo di potersi uni￾re al tavolo. Aveva capito che dovevano sfogarsi così. Sapeva prenderli. Il ritiro della domenica sera all’Hotel Americana, ad esempio, era la loro “pizzata” dopo ogni gaRa. All’inizio i giocatori non erano molto entusiasti, ma poi hanno capito lo spirito della cosa: babbo comunque conoscendoli qualche sospetto ce l’aveva. Einfatti chiedeva al team manager Gigi Bezzi o al dottor Ziaco di controllare chenessuno uscisse di nascosto. Cosa che qualche volta accadde…».

ATTENZIONI – «Una sera ci chiamò a casa Eduardo De Filippo: voleva conoscere babbo a tutti i costi e lo invitammo a cena. Un’altra volta arrivò la telefonata del Presidente della Repubblica
Giovanni Leone. Come se oggi Mattarella telefonasse a casa di Sarri. Chiese a papà la cortesia di ospitare il figlio, tifoso laziale, durante un allenamento
».

DELUSIONE – «La più grande delusione fu la perdita dello scudetto all’ultima giornata nel 1973. Papà non disse nulla per un po’, ma ,quando uscì il calendario della nuova stagione, era certo del successo. Il motivo? Le date: si partiva il 7 ottobre, giorno del suo compleanno, e si finiva il 19 maggio, giorno della nascita mia e di Maurizio. Era destino».

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