Lazio, i dieci giorni del paradosso: quando il bel gioco non basta
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Lazio, i dieci giorni del paradosso: quando il bel gioco non basta

Avatar di Gianpiero Farina

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La sconfitta contro il Napoli conclude dieci giorni vissuti dalla Lazio in un autentico paradosso. Sprazzi di bel gioco, ma i risultati…

Da Porto a Napoli, passando per Udine. La Lazio ha vissuto dieci giorni tutt’altro che banali. L’eliminazione in Europa League, per come è maturata, ancora oggi lascia un grande amaro in bocca. Un amaro in bocca che, se si pensa a quanto successo ieri all’Olimpico, assume i contorni di un vero e proprio paradosso. Perché poche volte il risultato è stato più bugiardo.

CHE BEFFA – Per un’ora, proprio come contro i lusitani, i biancocelesti hanno messo alle corde l’avversario, con densità, compattezza, abnegazione, pressing alto, costruzione dal basso, idee, sovrapposizioni e tante occasioni. I partenopei sono stati in totale confusione, con di fronte una squadra attiva e applicata, per usare le parole che tanto piacciono a Sarri. L’errore però è stata ancora una volta lo stesso: la poco lucidità sotto porta. Luis Alberto ha vissuto tre giorni da incubo, con occasioni sbagliate clamorosamente. Ed ecco che Lazio-Napoli diventa dunque la più severa messa in pratica della dura legge del gol. Insigne gela l’Olimpico, Pedro la riaccende con una gemma, ma il gol di Fabian Ruiz è una beffa che fa male.

COSA NON VA – Il post partita diventa quasi l’ennesima inutile diatriba tra beigiochisti e risultatisti. In realtà forse il discorso è molto più semplice: il bel gioco non basta quando si deve sempre convivere con le disattenzioni dei singoli, sotto porta e non solo. Il primo gol nasce da un errore in fase di costruzione di Patric. Il secondo, come sottolineato dallo stesso Sarri nel post partita, è frutto di un’ingenuità a dir poco clamorosa. A 45 secondi dalla fine la Lazio è messa malissimo in campo, con tre giocatori che non riescono a fermare Ounas nell’ultima azione del Napoli, con Elmas che trova campo libero e dà il là alla doccia fredda. E nel mirino può anche finire l’eccessiva foga dopo il pari: forse all’88’ era più giusto accontentarsi dell’1-1? Con il senno di poi però tutto diventa semplice.

DALLE PAROLE AI FATTI – Il punto da cui ripartire sono le dichiarazioni dopo il fischio finale dello stesso tecnico biancoceleste. Infatti non vi è alcun dubbio sul fatto che le differenze rispetto all’andata con gli azzurri sono fin troppo evidenti. Fino a qualche mese fa partite con squadre come Porto e Napoli erano ingiocabili. La crescita dal punto di vista del gioco, degli schemi e dello stare in campo è palese. Ma non basta. Serve l’ultimo step, ossia quello della mentalità e della capacità di leggere i momenti delle partite. Perché, quando si alza il livello, il margine di errore diventa irrisorio. Caratteristiche che crescono con il lavoro, ma è chiaro che una crescita del gioco deve andare di pari passo con quella nei singoli, perché la squadra di Spalletti riesce a vincerla anche grazie ai cambi (vedere l’impatto di Elmas per capire). La sensazione è che il rischio possa essere quello di vivere un costante e continuo paradosso. I prossimi mesi serviranno per sciogliere questa chimera. E già la sfida di Cagliari può essere un esame, in primis per evitare l’ennesimo contraccolpo psicologico.

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