Carolina Morace si racconta: «Ho sempre voluto giocare. E sull'Italia...»
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Carolina Morace si racconta: «Ho sempre voluto giocare. E sull’Italia…»

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Carolina Morace si è raccontata in una lunga e interessante intervista, dove ha toccato tantissimi temi e argomenti

L’allenatrice della Lazio Women Carolina Morace si è raccontata in una lunga e interessante intervista, rilasciata ai microfoni del portale francese Serie A Mon Amour. Queste le sue parole.

ESORDI – «Non ricordo la mia prima volta, ma ho sempre voluto giocare. Io vivevo a Venezia. Dopo la scuola, tutti i bambini che vivevano nel vicinato andavano in questo campo e giocavamo dalle tre alle quattro ore al giorno. Un giorno, una squadra femminile venne ad allenarsi e mio padre mi disse se mi sarei voluta allenare con loro. Avevo 11 anni e non avevo paura, perché volevo giocare. Non sapevo che le donne giocassero, pensavo fosse solo qualcosa per bambini e ragazzi. Ero la più giovane e l’allenatore mi volle con loro».

NAZIONALE – «Ricordo che un giorno ho visto la foto della Nazionale su un giornale. Sono rimasta sorpresa, perché non sapevo che esistesse per le donne. Ho subito pensato che un giorno mi sarebbe piaciuto farne parte».

WEMBLEY – «Segnare 4 gol a Wembley è forse la cosa più importante che ho raggiunto. Prima della partita l’allenatore è venuto da me e mi ha detto: “Se segni qui sarai un vero giocatore di football”. Dopo un gol, ero felice. Dopo il secondo, il terzo e il quarto, l’intero stadio (30.000 persone) mi ha applaudito. Ho capito che era qualcosa di incredibile».

MONDIALE – «Sono stata la prima a fare una tripletta in una Mondiale, ma nessuno si è reso conto che si trattava di un passo importante nella storia del calcio femminile. Rimpianti per aver vinto tre Mundialito e non un Mondiale ufficiale? No, perché all’epoca c’erano squadre molto più forti. Stati Uniti, Norvegia … Difficile avere rimpianti».

NUMERI – «Le mie statistiche superabili? Sarebbe interessante vedere il rapporto gol / partite. In realtà, non mi interessa. Ero lì per segnare, ho fatto il mio lavoro, non mi pongo questa domanda».

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