Lazio, da Crotone a Montale: la Champions passa per i piedi di Caicedo
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Lazio, da Crotone a Montale: la Champions passa per i piedi di Caicedo

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Per la Lazio è arrivato il momento di cambiare l’andamento della storia degli ultimi anni e può farlo con Caicedo

«La storia non somministra carezze o colpi di frusta./La storia non è magistra/di niente che ci riguardi», scriveva Montale nel 1971.
Irrazionale, imperscrutabile, indecifrabile: la storia non insegna.
Cicli temporali che sembrano ripercuotersi, con finali sempre diversi. Non c’è regolarità. Un segno che si ripeta da poter cogliere, qualcosa che basti per modificare l’apparentemente naturale corso degli eventi.

«La storia non è magistra di niente che ci riguardi», scriveva Montale nel 1971. All’alba di un nuovo decennio, a ridisegnare le logiche della storia, la storia della Lazio, s’intende, è Felipe Caicedo. Sì, perché se il passato avesse davvero qualcosa da dire, da insegnare, appunto, consiglierebbe di lasciar perdere quell’utopia chiamata Europa.
Tanti i tentativi falliti, forse troppi. Tanti gli errori che hanno infranto le speranze di una squadra e di un popolo. Tanti gli inciampi che hanno lasciato indietro la Lazio, lì ai piedi di un sogno, con lo sguardo volto all’insù e dentro la sensazione delle occasioni mancate.

Ma «la storia non è magistra di niente che ci riguardi», scriveva Montale nel 1971. Perché adesso i demoni di Crotone non fanno più paura. Quel pomeriggio di maggio, quando Caicedo strappò con le mani il biglietto per la Champions, è quasi un vago ricordo.
Adesso è viva la notte di Cagliari: la rete messa a segno durante l’ultimo giro delle lancette di quei contestatissimi 7 minuti. L’alibi perfetto di chi ha subito.
È viva la corsa sfrenata, quasi incredula dell’Olimpico, dopo aver sugellato la vittoria contro la Juventus.
È vivo il destro prepotente incorniciato dal Mapei Stadium.
È viva la convinzione che sì, la Champions passi anche dai piedi di Caicedo.

Perché «la storia non è magistra di niente che ci riguardi», come scriveva Montale nel 1971.
E con lui, non c’ha creduto neppure Inzaghi che non ha mai smesso di nutrire fiducia per l’attaccante. Insieme hanno zittito le voci insistenti del passato per riportare la Lazio lì, ai piedi del sogno, con lo sguardo volto all’insù e dentro la consapevolezza di poter fare stavolta qualcosa di grande.

Come riscrivere la storia.

Lavinia Labella

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