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ESCLUSIVA – Lorenzo Pace: «Inzaghi lo sento spesso» e sulla retrocessione della Primavera…

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In esclusiva ai nostri microfoni, Lorenzo Pace ci ha spiegato com’è essere allenati da Inzaghi e cosa si prova a vincere con la Lazio

Tra il 2013 ed il 2015 la Primavera della Lazio ha avuto il periodo di maggior splendore: tanti trofei, squadra unita e la consapevolezza di poter arrivare ovunque. Sulla panchina sedeva un certo Simone Inzaghi che, seppur fosse alle prime armi, già sapeva il fatto suo, mentre in mediana risiedeva Lorenzo Pace: giocatore brevilineo pieno di tecnica e laziale fino al midollo. Il centrocampista ci ha raccontato in esclusiva la sua esperienza in quegli anni, ricordando i fasti del passato e le emozioni vissute con l’aquila sul petto.

Lorenzo, hai passato tre stagioni alla Lazio Primavera. Cosa hanno significato per te quegli anni? 

«Per me è stato come un piccolo sogno che si è avverato. Sono laziale da quando ero piccolo ed indossare quella maglia è stato bellissimo».

In quegli anni hai avuto la fortuna di essere allenato da Simone Inzaghi. Com’era ai tempi? Ti saresti aspettato un percorso del genere da parte sua? 

«Con Inzaghi ci siamo incontrati negli Allievi Regionali, poi l’ho avuto agli Allievi Nazionali e in seguito un anno e mezzo in Primavera. Lui è innanzitutto una bravissima persona: sa come prenderti fuori dal campo, è sempre il primo che scherza e riesce a farti tirare fuori il 100%. Non è un caso che ora si trovi li in alto. Era prevedibile da parte sua, me lo aspettavo che facesse strada».

Nel tuo palmarés biancoceleste c’è anche uno Scudetto. Cosa ricordi? Che emozione è stata vincerlo con quella maglia?

«Si, il mio primo anno in Primavera si è coronato con la vittoria del campionato. Con me c’erano Keita, Strakosha, Crecco… gente che poi ha fatto carriera. Mi ricordo benissimo che ai quarti di finale delle Final Eight noi non avevamo a disposizione Keita e Tounkara, di fatti contro il Torino soffrimmo ma vincemmo per 1-0. In semifinale vincemmo 3-1, ma il ricordo  più bello è decisamente la finale: l’Atalanta era una grande squadra ma riuscimmo a batterla 3-0 con doppietta di Cataldi. E’ stato bellissimo. Emozionanti furono i festeggiamenti durati tutta la notte per il paese, insieme ai numerosi tifosi che ci avevano seguito a Gubbio».

Il tuo percorso in biancazzurro è stato letteralmente esaltante: tanti campioni, squadra unita e risultati più che positivi. La Primavera attuale sta cercando di rialzarsi dopo un anno di Primavera2 B. Secondo te cosa è cambiato? 

«Ho saputo della retrocessione un paio di anni fa ma non ho avuto modo di seguire tanto la squadra, però mi è dispiaciuto parecchio. Noi avevamo fatto diventare la Lazio Primavera una delle squadre top in Italia, vederla poi nella serie inferiore ha deluso tutti quanti. Ora sono contento che è ritornata in Primavera 1 e spero che pian piano possa ridiventare quella di prima».

Come ci hai raccontato prima, nel tuo percorso hai incontrato tanti giocatori che attualmente vestono la la maglia biancoceleste in prima squadra, come Cataldi, Strakosha e Guerrieri. Li senti ancora? 

«No, purtroppo con i ragazzi che ora sono in prima squadra ho perso i contatti. Continuo a sentire però il mister, il preparatore Ripert ed il fisioterapista Marsella visto che insieme ad Inzaghi hanno fatto il salto di categoria anche tutti i collaboratori. Con loro ho modo di sentirmi molto spesso e gli mando le congratulazioni per quello che stanno facendo».

Dopo la tua avventura alla Lazio hai girato molte squadre, avendo anche una parentesi nella Serie A indonesiana. Rifaresti tutto? 

«Si, dai. Uscito dalla Primavera sono andato a giocare in Serie D, poi mi è arrivata la chiamata dall’Indonesia ed ho accettato. Per problemi burocratici non ho potuto giocare in quel periodo quindi mi sono solo allenato, dopo sei mesi mi ero stancato della situazione ed ho deciso di tornare».

Sogni ancora un ritorno in biancoceleste?

«Sinceramente è quasi impossibile che si possa verificare questa opzione, però essendo tifoso della Lazio darei tutto per indossare quella maglia ancora».

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