Poli: «Chinaglia come un padre. Con Fascetti litigai e poi fui mandato via»
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Poli: «Chinaglia come un padre. Con Fascetti litigai e poi fui mandato via»

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Fabio Poli, ex giocatore della Lazio, ha parlato ai microfoni di TMW Radio della sua esperienza in biancoceleste

Uno degli eroi del -9, che con quel suo gol di testa negli spareggi di Napoli contro il Campobasso regalò alla Lazio la storica salvezza in Serie B. Stiamo parlando di Fabio Poli, che oggi si è raccontato ai microfoni di TMW Radio. Ecco le sue dichiarazioni.

SULLA LAZIO – «Bologna è la mia squadra del cuore, è stato bello giocare al Dall’Ara. Ho però fatto due stagioni con la Lazio. La prima fu complicatissima, piena di infortuni e problemi societari. Chinaglia per me è stato un padre, mi ha preso dal Cagliari, mi ha coccolato, ma fu un’annata complicata. L’anno dopo però ci fu la salvezza col Campobasso».

SUGLI SPAREGGI DI NAPOLI – «Arrivammo quasi senza benzina, passammo perché eravamo più forti. E poi un grazie ai tifosi, che furono straordinari. Fascetti è stato un grande, anche se abbiamo avuto qualche problema. Litigammo davvero, rimasi calmo e non reagii, però dopo abbiamo risolto tutto».

SULLA CESSIONE – «Pensavo che dopo quello che avevo fatto di poter fare ancora un anno. Fui pagato tanti soldi, ero in debito con la società, ma ero destinato a fare panchina. Ci furono spinte dalla società per mandarmi via a tutti i costi. Passai al Bologna, la squadra del mio cuore, che giocava un calcio bellissimo con Maifredi».

SULLA LITE CON SCHILLACI – «Mi disse una frase forte. A fine partita mi ricordo che mi parlò in siciliano e io gli feci uno sberleffo con una mano. Lui disse che gli avevo dato un pugno, reagì in modo brusco e mi disse davanti a tutti una frase che non dimenticherò. Uscì sui giornali, mi fecero passare come uno che non doveva permettersi di reagire contro Schillaci. Alla fine pagai solo io. Al processo sportivo fu negato tutto, io fui squalificato, lui non disse la verità e mi arrabbiai. L’ho rincontrato in altre situazioni, ma non ho mai reagito. Ho finito di giocare tra i professionisti a 30 anni per quell’episodio. Qualcuno ha grandi colpe per questo. Da allora non l’ho mai perdonato, lui così come la Juventus. L’anno prima di quell’episodio potevo andare alla Juve con Maifredi ma mi ruppi il ginocchio. Ora sono in pensione, vivo nel mio paesino e sono lontano dal mondo del calcio».

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