Wilson: «Lo Scudetto del '74 fu un sogno. Con Giorgio...» ESCLUSIVA
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Wilson: «Lo Scudetto del ’74 fu un sogno. Con Giorgio…» ESCLUSIVA

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La redazione di Lazionews24 ha intervistato in esclusiva Pino Wilson, capitano e campione d’Italia con la Lazio nel 1974

Roma, 12 maggio 1974. Allo Stadio Olimpico un gruppo di “illustri sconosciuti“, guidato da un uomo silenzioso seduto in panchina con la sua giacca a quadri e la sigaretta tra le dita, compì un’impresa incredibile, destinata a riecheggiare nella storia sportiva della Città Eterna. Era la Lazio di Giorgio Chinaglia e di Luciano Re Cecconi, che in quel giorno di primavera di quasi cinquant’anni fa vinse il primo Scudetto della sua storia. Il merito di quell’impresa, oltre che della stagione meravigliosa disputata da tutti i giocatori biancocelesti, fu proprio di quell’uomo silenzioso con la giacca a quadri e la sigaretta tra le dita, che rispondeva al nome di Tommaso Maestrelli.

In occasione del 47° anniversario di quella gloriosa giornata, Pino Wilson, capitano della Lazio campione d’Italia, è intervenuto in esclusiva a Lazionews24 per raccontare alcuni dei suoi ricordi più belli.

Sono passati ormai 47 anni dal primo Scudetto della Lazio. Come ha vissuto quella incredibile giornata?

«Inizialmente, con tanto nervosismo. Credo che nessuno abbia dormito quella notte tra il sabato e la domenica. E’ anche ovvio, perché ci stavamo avvicinando a quella che poteva essere l’apoteosi. Immagino che come me anche tutti gli altri avessero le stesse sensazioni: abbiamo dormito poco e poi siamo scesi subito nella hall, perché in camera anche a livello di movimenti puoi fare poco. Ci siamo ritrovati tutti giù e stavamo ognuno per i fatti suoi, non abbiamo fatto combriccola. Ognuno ha pensato a isolarsi, perché si stava avvicinando il grande momento. Siamo andati a messa come era solito fare con Padre Lisandrini ed è stata una sorta di ripetizione di ogni domenica, anche se questa era sentita maggiormente per ovvi motivi».

Che cosa vi disse Maestrelli nello spogliatoio prima della partita con il Foggia?

«Lui ci conosceva benissimo e sapeva quelli che soffrivano di più e quelli che soffrivano di meno, quelli a cui doveva dire qualcosa, altri a cui dire di meno. Sta di fatto che lui non aveva bisogno di dirci chissà che cosa, perché sapeva perfettamente che giocavamo con lui e per lui. Credo che Maestrelli abbia sorpassato il lato tecnico della partita e l’ha buttata sul lato principale, che era la vittoria di un trofeo che nessuno di noi si aspettava, anche se c’erano state delle avvisaglie l’anno prima. Per noi, che eravamo degli “illustri sconosciuti”, vincere il primo Scudetto e portarlo qui a Roma era in quel momento un sogno che si stava avverando. Quindi, il mister non ha fatto altro che dirci di stare tranquilli, perché se non fosse stata quella partita sarebbe stata quella successiva. Ovviamente tutto questo per scardinare quel momento di tensione molto forte e, come al solito e come sempre ha fatto, Maestrelli è stato vicino a ciascuno di noi».

Lei si è sentito in dovere di dire qualcosa al resto della squadra in quanto capitano?

«Con quella squadra il capitano serviva solo per avere l’impatto con l’arbitro e con ciò che era esterno. La mia figura era soprattutto per tutto ciò che ci circondava, ma per i miei compagni non c’era certo bisogno di un capitano».

A fine partita c’è stato un momento incredibile: tutti abbiamo visto le immagini del fiume di tifosi sceso in campo per festeggiare in mezzo a voi. Ma tra voi giocatori, specialmente tra lei e Giorgio Chinaglia, quando avete realizzato di essere campioni d’Italia cosa vi siete detti?

«Negli spogliatoi l’euforia prese il sopravvento, non ci sono dubbi su questo. Per cui si sono riviste le scene che siamo soliti vedere dopo uno Scudetto e dopo un trofeo in tutti i campi. Siamo rimasti in ritiro ancora per poco e poi ognuno l’ha festeggiata nel modo migliore. Io ho festeggiato con Giorgio, con Giancarlo Oddi, con Garlaschelli: siamo andati al Jackie O’ e siamo stati lì, dove il direttore era anche un laziale sfegatato. Ma credo che noi ci siamo resi conto di quello che abbiamo fatto solo il giorno successivo, senza pensare che a distanza di 40 anni o forse un po’ di più abbiamo cominciato ad assaporare i tifosi che ci sono stati vicino. Abbiamo assaporato quella gioia che lì per lì non ci siamo gustati, perché probabilmente quando abbiamo vinto lo abbiamo dato per scontato e non sapevamo fino in fondo quello che avevamo fatto. E se a distanza di 47 anni siamo ancora la squadra più amata credo che un motivo ci deve essere. Noi ce ne siamo resi conto soltanto una decina di anni fa più o meno, quando abbiamo festeggiato i 40 anni allo Stadio Olimpico. Lì ci siamo regalati e abbiamo regalato una serata entusiasmante».

Per i 50 anni state già pensando a qualcosa di ancora più grande?

«Bisogna sempre organizzarsi un po’ prima, però diamo tempo al tempo. Verrà anche il momento in cui decideremo cosa, come e se lo vogliamo fare. Sarebbe molto bello, quindi diciamo che tra un anno e mezzo ci penseremo».

La Lazio adesso è in corsa per il quarto posto. Secondo lei quante possibilità ha la squadra di Inzaghi di conquistare un’altra qualificazione in Champions? Quale può essere l’uomo decisivo in questa volata finale?

«Sicuramente ci sono tre o quattro giocatori di spessore superiore, però alla resa dei conti i giocatori che devono fare la differenza sono quei tre: Luis Alberto, Milinkovic e Immobile. Dopo ovviamente ci sono altri campioni come Leiva e Correa, ma è vero che questi tre devono portarci in Coppa dei Campioni. Con la Fiorentina è stata una partita difficile, ma adesso ci sono 4 partite, compresa quella col Torino, che ci devono vedere protagonisti, perché abbiamo bisogno dei tre punti fino alla fine per poter arrivare all’obiettivo. In questo momento, nonostante la sconfitta di sabato scorso, credo che siamo noi quelli che si meritano più di tutti di andare in Champions. Sabato poi avremo il Derby, che è una partita di un’importanza unica, al di là delle posizioni in classifica».

Parlando di Derby, qual è il ricordo più bello che lei ha legato alle sfide contro la Roma?

«Sicuramente il Derby del ’72 con il gol di Nanni. Finì 1-0 per noi e credo che sia stato forse il momento in cui tutti quanti ci siamo resi conto di chi a Roma stava per vincere qualcosa. Poi dopo lo hanno rivinto loro, ma quella giornata è stata veramente una giornata memorabile».

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