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Breve storia delle sponsorship calcistiche

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Da indossare sugli spalti, o magari durante una visione privata del match, la maglia della squadra del cuore per il popolo dei tifosi è un oggetto irrinunciabile, al centro di un vero e proprio culto spesso legato a fantasiosi riti propiziatori.

Ma al di là delle dinamiche partecipative comuni a tutti gli sport, la maglia indossata dai campioni gioca un ruolo chiave sul fronte delle sponsorizzazioni: anche la più piccola porzione di stoffa diventa, infatti, preziosa per i brand di tutto il mondo che investono somme da capogiro per garantire al proprio logo la massima visibilità. Un business, quello delle sponsorship, che ha proiettato il campionato 2022/2023 nella storia, con un investimento complessivo che tocca la cifra record di oltre 200 milioni di euro: la media del valore maglia per club ha superato quota 10 milioni di euro. Nel tempo, tuttavia, le regole sono cambiate e dopo la legittimazione del sistema delle sponsorizzazioni, avvenuta per opera della Federcalcio durante il campionato 1981/1982, numero e dimensioni dei loghi, sono stati oggetto di un rigoroso regolamento. 

Alle origini delle sponsorizzazioni

La pratica delle sponsorship ha radici antiche che ci riportano alla Seconda Guerra Mondiale, quando Torino e Juventus si associarono rispettivamente alla Fiat e alla Cisitalia facendo figurare i propri giocatori come operai delle due fabbriche. Così facendo, infatti, gli atleti, in quanto impiegati del settore automobilistico (strategico in tempo di guerra) furono esonerati dal servizio di leva e poterono mantenere il proprio impegno agonistico. La pratica cosiddetta dell’abbinamento si diffuse in modo sempre più capillare soprattutto al termine del conflitto, anche perché consentiva di aggirare il divieto di apporre loghi sulle divise dei calciatori imposto dalla Federazione. E’ questa la fase in cui aziende e società sportive scoprono il grande potenziale commerciale delle sponsorizzazioni: la crescente ricerca di visibilità da parte dei brand, infatti, porta nelle casse dei club la liquidità necessaria per mantenere il proprio impegno in campo. Sarà il placet della Federcalcio ad aprire definitivamente il mercato delle sponsorship e a definirne un perimetro normativo molto rigoroso, numero di loghi e dimensioni sono ancora oggi soggetti a regole ben precise: due sponsor frontali e uno sul retro della maglia. 

In un sistema che incrocia le strategie pubblicitarie delle aziende con le dinamiche finanziarie dei club hanno fatto il loro ingresso anche i nuovi brand del casinò online. A livello internazionale queste aziende hanno iniziato a investire in modo sistematico e significativo nel calcio tra il 2010 e il 2020, garantendo la propria forza economica ai club impegnati in importanti campionati come la Premier League. In Italia, a seguito dell’approvazione del Decreto Dignità, le società del betting hanno dovuto interrompere qualsiasi partnership pubblicitaria con le società calcistiche.

Il ruolo delle società di betting: il caso della Lazio

Su questo fronte il caso della Lazio è emblematico: il club biancoceleste, infatti, è stato costretto all’addio alla sponsorhip siglata con un brand del gambling prima che il Decreto Dignità venisse pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Il Decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018, infatti, ha vietato qualsiasi forma di pubblicità relativa al gioco d’azzardo o a giochi e scommesse con vincite di denaro, divieto che, appunto, include anche le sponsorizzazioni calcistiche. 

Prima dello stop erano molti i club che nella partnership con i brand del gambling avevano individuato una formula efficace sotto diversi punti di vista. 

Le società attive nel settore del gioco, infatti, hanno un grande potenziale di investimento finanziario e incontrano le esigenze dei team calcistici in un ambito cruciale: quello dello streaming. Grazie alle piattaforme che gestiscono, infatti, i brand del gambling sono in grado di trasmettere live numerosi pacchetti di eventi e questo è un dettaglio tutt’altro che secondario se si considera che la fruizione degli eventi sportivi è sempre più legata alla possibilità di seguirli in tempo reale, magari proprio dopo aver effettuato una scommessa. 

Secondo una stima scaturita da una ricerca indipendente, gli effetti dello stop alle sponsorizzazioni calcistiche imposto agli operatori del betting ha portato, per i club di serie A, a una perdita di circa 150 milioni di euro in quattro anni: conti alla mano, infatti, nel 2018 tre squadre della massima divisione su quattro avevano un accordo commerciale con un brand del gioco d’azzardo. 

Tra presente e futuro

Il rapporto tra calcio e sponsorizzazioni è un connubio che ha radici profonde ed esprime una storia densa di tappe significative e colpi di scena. Durante la Seconda Guerra Mondiale la pratica dell’abbinamento tra club e aziende automobilistiche aveva permesso ai calciatori di continuare a giocare evitando il servizio di leva e aveva spianato la strada alle sponsorizzazioni vere e proprie. Queste ultime da un lato offrivano grande visibilità ai principali brand italiani, mentre dall’altro garantivano floridezza e stabilità alle società. Con la stagione 1981/1982 e con la definitiva legittimazione delle sponsorship da parte della federcalcio c’è stato un incremento delle collaborazioni commerciali e le maglie dei più blasonati team di Serie A hanno iniziato a ospitare loghi e brand. L’affacciarsi sulla scena delle società del gambling ha dato vita a un trend sempre più diffuso, ma il Decreto Dignità nel 2018 ha definitivamente vietato per queste società la possibilità di apporre il proprio marchio sulle maglie. Non sappiamo cosa il futuro riserverà al mercato delle sponsorizzazioni calcistiche o se ci saranno nuove opportunità per le aziende del betting, ma, dati alla mano, sappiamo che per i club italiani quel tipo di formula si è sempre rivelata economicamente molto vantaggiosa.

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