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Salviamo il soldato Wallace noi che siamo il suo esercito!

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Soldato. Così merita di essere chiamato chi si schiera a difesa dei colori biancocelesti. In particolar modo di una porta, protetta fino a quell’istante con tranquillità precisione e impegno. Quell’impegno grazie al quale si era guadagnato una maglia da titolare.
Di nome fa Fortuna, come quella cieca e bendata che ha deciso di voltargli le spalle proprio nel momento decisivo. Di cognome Wallace e come David Foster ha deciso di scrivere una storia, un po’ brutta e per certi versi triste, ma allo stesso tempo piena di significati.
Quella storia lo ha visto essere una piacevole sorpresa, nonostante fosse stato etichettato come bidone appena dopo una giornata di campionato. Lo ha visto prendersi le copertine e recitare il ruolo di ciliegina sulla torta; quella torta che all’inizio sembrava essere deliziosa, ma adesso ha assunto i contorni del “pasticcio”. Un “pasticcio” valso una partita, anzi LA partita.
Il soldato Wallace ora sarà distrutto, non avrà dormito la notte del “pasticcio”, ma come tutte le persone che stanno leggendo in questo momento, ha una grande forza interiore sprigionata da due colori: il bianco e il celeste. Due colori sinonimo di reazione, lealtà e fierezza, ma soprattutto di fratellanza e di aiuto verso chi indossa la nostra stessa maglia.
Il soldato Wallace ha capito di averla fatta grossa e sicuramente se alle 17:00 di domenica gli avessero detto che poteva rivivere e cambiare un episodio accadutogli in passato, lui avrebbe scelto il 64° minuto del derby.
Le reazioni in città sono forti, la rabbia è tanta, l’amarezza troppa. A caldo si dicono cose che magari non si pensano e forse anche un po’ brutte. Tutti i tifosi dopo quel “pasticcio” lo hanno etichettato come uomo simbolo di un derby perso per sua stessa mano; un derby che un secondo prima lo vedeva migliore in campo, il secondo dopo il peggiore.
Il calcio a volte assume delle dinamiche strane, è uno sport talmente bello da farti toccare il cielo con un dito per una partita intera e sprofondare dopo un errore.
Wallace ne è consapevole, ha avuto la più colossale indecisione da quando calca i campi di calcio, però è uno di noi e come tale va difeso. Difeso da quegli altri che in questo momento stanno ridendo di lui. Difeso come tutta la panchina ha difeso Danilo, quando la Lazio era oggetto di sfottò. Questo vorrebbe dire perdonarlo, proteggerlo e farlo sentire uno di noi, perché lui è uno di noi.
Con l’umiltà di chi per mestiere non pensa a fare gol ma ad evitarli, qualche settimana fa, dopo la rete contro il Genoa, ha voluto prendersi l’abbraccio della Nord e quel gesto significa molto.
Quel gesto parla di un ragazzo che prima ancora di sconfiggere i suoi avversari, ha dovuto sconfiggere i giudizi preventivi di chi non voleva un altro Mauricio, ma pensava di averlo trovato.
Wallace è un professionista, un ragazzo e un essere umano, ma soprattutto un calciatore della Lazio. Noi non siamo come loro, siamo diversi. Sappiamo capire gli errori e ripartire proprio da lì, dove tutto aveva assunto contorni diversi: sotto quella curva abbracciata e tornata ad essere piena anche grazie ai suoi colpi di testa e ai suoi salvataggi.
Il soldato Wallace è in difficoltà ma si rialzerà. Il soldato Wallace ha capito di aver sbagliato e imparerà dai suoi errori. Il soldato Wallace ha bisogno di aiuto e solo noi possiamo restituire il bianco e il celeste a quegli occhi che adesso vedono tutto nero.
Solo noi possiamo far tornare il sereno dentro di lui, perché solo noi siamo in grado di perdonarlo. Perché seppur forte, un soldato non sarà mai niente senza il suo esercito, così come l’esercito non sarà più lo stesso se perderà un soldato dopo la battaglia più importante.
Wallace non si chiama “Fortuna” per caso. Il suo nome lo ha portato dalla sponda giusta del Tevere. Quella bella, solare e splendente, ma soprattutto quella che nei momenti di difficoltà scende in campo con tutto l’esercito per salvare un suo soldato.
Non sarà una partita ad abbattere un esercito. Non sarà un errore ad abbattere un soldato. Non sarà un derby perso a cambiare la sovranità cittadina. Perché quella, dal 9 gennaio del 1900, non è mai stata in dubbio.

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