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Parolo: «Segno al Milan e andiamo in Europa. Champions? Non ci poniamo limiti»

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Marco Parolo si racconta a 360°: da piccolo tifava Milan, ora però pensa solo alla Lazio

Il Milan nel destino, anche senza aver mai indossato la maglia rossonera. Inevitabile per uno nato a una manciata di chilometri da Milanello, che da piccolo andava spesso in «pellegrinaggio» al centro sportivo rossonero («mi ci portava mio nonno in bicicletta») e che da ragazzo aveva in camera i poster di Maldini e Boban («sono tornato poco tempo fa nella casa dei miei, li ho rivisti, me ne ero quasi dimenticato»). E quando vede il Diavolo si trasforma pure in goleador quando incrocia il rossonero. Due doppiette, una col Parma, l’altra con la Lazio, con cui poi ha fatto un altro gol per un totale di 5: il Milan è la squadra a cui Marco Parolo segna di più. Il centrocampista biancoceleste ha rilasciato la seguente intervista per le colonne de La Gazzetta dello Sport.

È per questo che domenica si è «scaldato» col poker al Pescara?
«No, il Milan non c’entra. Diciamo che quest’anno avevo segnato poco (una sola rete prima di domenica, ndr) e dovevo recuperare…».

Però ha esagerato. Lo sa che, prima di lei, l’ultimo centrocampista a realizzare una quaterna in campionato era stato Rivera. Sempre questo Milan…
«Eh, fa un certo effetto, quasi mi imbarazza. A carriera finita sarà una cosa bellissima da raccontare a mio figlio che ora ha solo 2 anni».

Un poker che le è costato caro, peraltro.
«Sì, mi è toccato portare la squadra fuori a cena. Starò attento a ripetermi, altrimenti…», ride.

Non è la prima cena che fate quest’anno. Segno inequivocabile che lo spogliatoio è di nuovo unito.
«Si è creata l’alchimia giusta sin dall’inizio, i risultati che stiamo ottenendo sono figli soprattutto di questa ritrovata armonia. Inzaghi è stato fondamentale in questo».

C’è grande feeling tra voi e il tecnico.
«È bravissimo a gestire il gruppo, capisce alla perfezione i nostri stati d’animo, forse perché ha smesso da poco di giocare. E poi è preparatissimo dal punto di vista tattico».

Per lui e per voi c’è ora l’esame Milan. Pronti per battere finalmente una grande?
«Sfida importantissima, non tanto perché non abbiamo ancora sconfitto una big in campionato, quanto perché questo è uno scontro diretto per l’Europa».

Per lei, poi, è una specie di derby del cuore.
«Da piccolo tifavo Milan, è vero. Sono cresciuto con quello di Sacchi e degli olandesi, poi con quello di Capello. Mi piacevano Van Basten, Maldini, Boban».

Il Milan attuale è lontano anni luce da quello.
«Ma resta una delle società più forti che ci siano in Italia e in Europa. Sta vivendo una fase di passaggio, ma sono sicuro che tornerà grande».

Le dispiace non vivere al contrario questa sfida?
«Assolutamente no. Alla Lazio sto benissimo, sono qui da tre anni, spero di restarci a lungo (ha rinnovato il contratto fino al 2020, ndr). Mi piace la gente, l’ambiente, tutto. Anche se Roma – ci scherza su – è un po’ troppo caotica. Contro il Milan nessun imbarazzo. Anzi, spero di dargli qualche altro dispiacere dopo i 5 gol che ho già segnato ai rossoneri».

Dove può arrivare la Lazio?
«Vogliamo tornare nelle coppe. In quale competizione lo capiremo più avanti. Senza porci limiti, perché secondo me possiamo ancora migliorare tanto».

In cosa, per esempio?
«Dobbiamo imparare a gestire meglio le partite. A Pescara abbiamo avuto un brutto passaggio a vuoto prima di dilagare. Ma era accaduto qualcosa di simile anche a Genova con la Samp e poi con Fiorentina e Inter. È questo l’ultimo gradino che dobbiamo salire».

Il Milan lunedì e il derby di Coppa come banchi di prova definitivi.
«Certo, i big-match diventano decisivi a questo punto della stagione».

Ma alla Roma pensate già?
«Prima abbiamo tre gare di campionato delicate, però è innegabile che al derby si pensi già. Per noi sarà l’occasione di dimostrare che siamo cresciuti rispetto alla sfida di campionato con la Roma».

Ha letto le dichiarazioni di Nainggolan? Lei ha mai odiato qualche squadra?
«Sinceramente no. Odio è una parola grossa. Però “sentire” certe partite più delle altre è assolutamente normale. E poi carpire di nascosto delle dichiarazioni non è bello. È ovvio che puoi dire cose che in un contesto ufficiale diresti con altre parole».

Ma la Juve, che Nainggolan odia, vincerà comunque lo scudetto?
«È nettamente la più forte, basti vedere la panchina che ha. Davvero difficile che non vinca».

Tornando alla Lazio, Keita è di nuovo finito nell’occhio del ciclone.
«È un talento straordinario, deve però crescere dal punto di vista comportamentale. Lo sta facendo, l’arrivo di Inzaghi è stato per lui una manna, perché l’allenatore sa come prenderlo. Deve capire che, se migliora in questo, diventa un giocatore incredibile».

La testa fondamentale quanto le gambe.
«Il calciatore più forte con cui ho giocato è Cassano. Se avesse avuto un altro carattere…».

Giovani in rampa di lancio. Ce ne sono tanti quest’anno. Si sbilanci: qual è il migliore?
«A me piace Gagliardini, lo dico chiaramente da centrocampista. Ma ci sono tantissimi talenti. Bernardeschi, Berardi, Donnarumma, Romagnoli, Rugani. E ne dimentico sicuramente qualcuno. Abbiamo un’Under 21 fortissima, ottima notizia per la Nazionale maggiore».

Di cui lei è ormai un punto fermo.
«E spero di continuare a esserlo, anche perché l’emozione che ti dà la maglia azzurra non ha eguali. Quando fui convocato per la prima volta rimasi imbambolato per dieci giorni».

E pensare che a 25 anni era ancora in Lega Pro.
«Fare tanta gavetta mi ha fatto bene, in A sono arrivato quando l’ho meritato. Vorrà dire che smetterò il più tardi possibile per recuperare il tempo perso…».

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