Editoriale

43 anni di vita, 20 di Lazio. Una bandiera può spezzarsi, un simbolo resta inciso nella storia!

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Un pezzo in onore di Simone Inzaghi, che oggi festeggia il suo 43esimo compleanno, ma mercoledì ha celebrato i suoi 3 anni da allenatore della prima squadra

 

Oggi compi 43 anni Simone, mercoledì erano 3 da allenatore della prima squadra. Dal 1999 al 2019 ne sono 20 di Lazio. Più ci penso e più mi sembra incredibile, eppure la matematica non mente. Metà della tua vita l’hai passata insieme a noi, l’hai donata a un popolo che oramai si riconosce in te. Nelle tue corse sfrenate ad ogni gol, nelle tue grida verso i nostri calciatori, in quei 5 con Farris dopo ogni rete segnata. Dire che la Lazio ce l’hai nel destino sembra anche riduttivo: primo gol in Serie A col Piacenza contro di noi, poi hai segnato alla prima e all’ultima partita di quell’incredibile scudetto del 2000. Era il 30 agosto del 1999, Lazio-Cagliari all’Olimpico e quella fu la tua prima gioia. Si, perché nel tuo esordio con questa maglia, non hai potuto esultare molto, anche se quella partita valse un trofeo importantissimo. Davanti avevamo il Manchester degli invincibili, che quella magnifica squadra di cui tu facevi parte, rese vincibili. Stam dopo 23 minuti pensò di romperti il setto nasale e proprio il destino lì, ci diede un segnale; ci fece capire che ti eri già inserito bene nella realtà laziale e eri già “fracico” di lazialità. La tua maglia quel giorno si è sporcata di sangue e di sudore e da allora, quel sangue e quel sudore non si sono più tolti dalla tua pelle. Come il nostro inno impone. Che sia una maglietta da gioco, oppure una camicia. Hai sempre messo la fatica e il lavoro al primo posto e essendo stata la Lazio una figura predominante nella tua vita, è come se da 20 anni dopo il suono della tua sveglia, andassi a lavorare per me e per tutte quelle persone che come me ti amano in maniera smisurata.

Tanti sono i tifosi laziali diventati tali nell’epoca di Cragnotti, quando uno scudetto non sembrava un miraggio, ma un obiettivo che allungando leggermente la mano poteva essere raggiunto. Tanti come me, da quegli anni ad oggi, nonostante le tante vicissitudini, sono diventati ancora più accaniti, più matti di Lazio, più passionali. Tra quei tanti ci sei anche tu! Hai vissuto i tempi d’oro e quelli bui proprio come ogni singolo tifoso. Hai alzato la mano quando c’era bisogno di tagliare gli stipendi e salvare la Lazio, l’hai abbassata quando in quello spogliatoio che rischiava di esserci pignorato, è stato chiesto chi voleva andarsene. Come hai sempre detto la Lazio è un senso di appartenenza troppo grande che neanche tu sei in grado di spiegare. Grazie a te sono diventati laziali i tuoi figli e tanti altri bambini, ora diventati quasi adulti come me. Sarà stato il fascino del capello lungo sul celeste, che ti rendeva così simile a Nesta, così tanto da confondervi quasi per il campo.

E pensa mio Caro Simone, ti vedo talmente tanto vicino a me, che chiamarti per cognome mi resta proprio difficile. Come fai a non chiamare in maniera confidenziale un amico? Perché questo sei per me. 20 anni! 20! Ma ci pensi? Metà della tua vita. La Lazio ha vissuto un sesto della sua storia insieme a te. E qualcuno non troppo distante da noi (purtroppo), ha anche la faccia tosta di dire che non abbiamo le bandiere a differenza loro. Infine, pensandoci bene, per una volta hanno ragione. Tu non sei una bandiera, tu sei molto di più. Tu sei un simbolo! Le bandiere possono spezzarsi, mentre il simbolo è uno e rimarrà lì per l’eternità. E pensare che oggi c’è qualcuno che si accanisce nei tuoi confronti per qualche cambio sbagliato, per il turnover non fatto, per l’insistente 3-5-2 . Mi chiedo come facciano, ma in fondo anche quella alla fine è una testimonianza d’amore. Un modo per dirti: «Simo, daje no. Però mo pure te te ce metti?!».

Oggi è una giornata di festeggiamenti e non voglio esse triste, però te lo confesso, ogni tanto ci penso a come potrà mai esse il tuo addio. Non riesco a immaginarmelo però… forse perché la mia mente si rifiuta di vivere una giornata così triste. Sarebbe la rottura di un cordone ombelicale tra mamma e figlio. Perché per te questo è stata la Lazio, una sorta di mamma. Ti ha preso che eri un bambino cresciuto e ti ha fatto diventare un papà che cresce i suoi figli. Oltre a Gaia, Pippo, Lollo, Tommaso, mamma, papà e Pippo, la tua famiglia è la Lazio e lo sono i laziali. I laziali sanno amare, sanno apprezzare, sanno riconoscere. Ogni partita chiedi a tuoi calciatori, in casa o in trasferta che sia, di andare a salutare i tifosi. Durante la gara, talmente tanta è l’adrenalina, che per esultare rischi di romperti di continuo qualcosa. Corri come un pazzo verso la curva per i gol più importanti, oppure vai ad abbracciare i tuoi calciatori, placcandoli come un rugbista. Sei diventato un amico per i tuoi calciatori, anche quelli che non fai giocare ti esaltano come fossi una figura mitologica. Non so come sarà il futuro, spero che non ci separeremo mai. È vero nel calcio il “mai” non esiste, ma il nostro rapporto va al di là di questo magnifico gioco. Che sia una maglietta, oppure una giacca, l’importante è vedere sul tuo cuore un aquila. Quella che da 20 anni porti in alto: in Italia, in Europa e nel mondo. Scusami è, sarà che da quando vedo la Lazio tu ci sei sempre stato, ma io sta squadra senza di te non riesco proprio a immaginarmela. Hai vinto tanto da calciatore, ti auguro ovviamente di farlo anche da allenatore. Se così non fosse però, non cambierebbe niente. Le vittorie fanno diventare idoli i personaggi che non sono mai stati amati, invece la tua vittoria eterna si chiama Lazio, si chiama Curva Nord. La tua vittoria sono le lacrime di Gaia che bacia Lollo dopo i gol. La tua vittoria è andare a Formello dopo 20 anni sempre con lo stesso sorriso. La tua vittoria è essere diventato un simbolo per quella che per te e per noi, è la migliore squadra del mondo. La tua vittoria è essere diventato Simone Inzaghi per la Lazio. La tua vittoria è essere passionale, in un mondo di mercenari. Le bandiere possono spezzarsi, i simboli restano incisi nella storia. E non ti preoccupare, la Champions era la tua competizione. Sei stato il primo italiano a segnare 4 gol in una partita. Secondo te prima o poi non la rigiocherai anche da allenatore…? E’ solo questione di tempo, il tempo che di solito divide ma che nel tuo caso ci ha unito. 43 anni di vita, 20 di Lazio. Un esempio di vita, un laziale come pochi, un compagno per i suoi ragazzi, un fratello per i suoi tifosi. Buon compleanno mister e grazie per questi 20 anni d’amore.

Luca Palmieri

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