2013

Lettere dal 1900: C’era una volta Nesta

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“Papà, ma questa Lazio?”

– Vedremo, Antonio. Vedremo.

“Certo che dopo queste partite…”

– Sai che c’è? La prossima è una cartaccia. Mi mette più ansia del memorial 26 maggio.

“Va be’ ma sono passati vent’anni, non gioca più nessuno di quelli…”

– Fosse quello il rimpianto. Te non hai idea di cos’eravamo trent’anni fa. No, non la puoi avere.

“Grazie al cavolo. Pensa ad avercelo oggi un Veron!”

– Artista. Avevo nove anni quando sono andato la prima volta allo stadio, lo sai? Il primo gol l’ha segnato la Brujita. Già mi ero innamorato.

“Capirai…”

– No, ma non è neanche quello. Erano tutti fenomeni, non potevi mettere mano in nessun reparto. Che volevi migliorare? Ogni estate i più forti del mondo erano accostati alla Lazio. E metà li abbiamo presi.

“Il migliore chi era?”

– Mah, sai, potrei dirti Mancini, per la tecnica. Boksic, per il talento. Signori, per le emozioni.

“Dai, scegli.”

– Nesta.

“Nesta?”

– Nesta. Non puoi avere idea, Antonio. La classe. La lazialità.

“Sì, come oggi…”

– Appunto. Avevamo direttori d’orchestra, tenori. Pubblico. Secondo te cos’altro poteva aggiungere un difensore?

“Niente. Erano tutti e quattro forti”.

– Sbagli. Nesta era il palco.

“Mica era l’Olimpico, papà!”

– Un palco di ellenici marmi bianchi, colonne corinzie, capitelli. Il lustro degli antenati. Era una Magna Grecia, ai tempi nuovi.

“Non capisco…”

– Tutti gli anfiteatri del mondo non possono restituirci l’antica gloria, Antonio. Questa epoca vive nel tormento del ricordo. Della rievocazione. Perché niente può proiettarci nella culla della civiltà, quando la ragione, il pensiero, le arti presero i sentieri che le hanno condotte a oggi. Tra milioni di scorciatoie.

“Sì, ma Nesta?”

– La Lazio, e tu lo sai bene, affonda le radici nelle più grandi delle tradizioni. I colori della Magna Grecia, i colori dei nostri padri. Vedere Nesta, tesoro, era vivere duemilacinquecento anni avanti. Un uomo fatto di Lazio, dentro e fuori dal campo. Stillava eleganza, talento liquido. Proiettava una squadra perfetta nell’unica cornice che le avrebbe reso massimo splendore. Lui, e lui soltanto, non si limitò a riaccendere la fiamma della nostra nobiltà, ma ci arse tutti. E fu un fuoco dolcissimo.

“Vivevate la Lazio all’altezza della storia… vi sentivate degni eredi degli spartani e degli ateniesi?”

– Potevamo esserlo noi stessi, Antonio. Perché quella squadra aveva una qualità che solo ad alcuni si addice. Se il resto del mondo vive nell’ossessione di rivedere e correggere i libri di storia, solo alcuni uomini hanno potuto scriverla. E chi scrive la storia soverchia ogni cosa. Trapassa i confronti, annienta i precedenti, aliena il futuro. Soltanto quella penna, in quel preciso momento, ha importanza. E, grazie a Nesta, un popolo l’ha impugnata. In quel contesto, potevamo anche chiamarci Ellade.

“…Ho capito, papà”.

– Va be’. Comunque domenica vinciamo.

“No papà, ti pare?”

– No? Che famo, pareggiamo?

“Se va be'”.

– Mica perdiamo…

“Manco”.

– …

“Hai capito, sì? Papà, cartaccia o non cartaccia… domenica gli famo un culo così”.

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