2015

Bollini a 360°: “Il settore giovanile della Lazio è cresciuto tantissimo negli ultimi anni”

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Il responsabile del settore giovanile biancoceleste ed ex allenatore della Primavera (oltre che vice di Reja in prima squadra) Alberto Bollini, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere dello Sport, che vi riportiamo integralmente.

Bollini, la Lazio accoglie i giovani. C’è una nuova identità, prima i talenti fuggivano, oggi corrono verso Formello. Il nuovo anno s’è aperto con il camp invernale, un segnale chiaro.
«E’ la prima volta che questa manifestazione viene organizzata in inverno. E’ ridotta come numero di giorni, ma è molto intensa, è una full immersion di calcio tutta biancoceleste. C’è il coinvolgimento di buona parte dei tecnici del settore giovanile, quando organizziamo un evento lo facciamo in modo diretto e non cedendo il marchio sull’esempio di altri club. Il nostro marchio è importante come peso sportivo, fascino, tifoseria, come sigillo del mondo giovanile».

Cos’è cambiato in questi anni?
«Il risultato di questo camp è pazzesco in termini numerici, mai avremmo pensato di arrivare a 100 ragazzi. C’è credibilità nel mondo Lazio, questo fa piacere, i segnali sono evidenti. Quando sono rientrato, nel 2010, captavo questa volontà da parte del presidente e del direttore sportivo. La realtà non era quella attuale, ci sono state delle crescite professionali e hanno inciso enormemente nei nostri risultati di settore giovanile. Ha inciso anche la volontà di dare input positivi, tutto ciò ha contributo nel ricreare questa appartenenza da parte della tifoseria e dei giovani».

Si era perso l’orgoglio dell’appartenenza.
«Un giovane che indossa la maglia della Lazio lo fa con orgoglio, mi sono battuto molto su questo aspetto. Posso fare un esempio forte e che comunque non vuole essere una critica specifica al ragazzo a cui tengo come tutti quelli che ho allenato».

Quale?
«Quando Marin (il terzino romeno passato al City qualche anno fa) abbandonò il ritiro estivo senza comunicarlo alla società e allo staff tecnico feci di tutto per parlare con lui prima che partisse per l’Inghilterra. Vedevo un ragazzo che non riusciva a capire cosa fosse la maglia della Lazio pur essendone tifoso. Fui io a dirgli “non so quali risultati raggiungeremo, ma vedrai che nel giro di qualche anno faremo un grande lavoro e alcuni di voi andranno in prima squadra”. Mi rispose “mister, è dai tempi di Nesta e del suo scudetto (2001) che non accade”. Lui fece un’altra scelta, ma si è dovuto ricredere. E’ successo perché è stato creato un grande lavoro, di team, in modo particolare nella Primavera».

Qual è stato il segreto del successo?
«Aver portato tanti giovani in prima squadra ha creato entusiasmo e adrenalina nella gente, servono per rafforzare questo senso di appartenenza. Indossare la maglia della Lazio è un orgoglio».

Avete raggiunto l’apice. Il prossimo passo è la continuità?
«Non c’è l’apice nel mondo giovanile, ci deve essere una continuità di professionalità, di valori da trasmettere ai ragazzi, di senso del gruppo, di senso di appartenenza. In più deve esserci la volontà della società di fare investimenti. L’Academy, come detto dal presidente, fa parte di questa progettualità. Sono aspetti fondamentali per andare avanti, ti possono far mantenere un livello alto».

Quando si può dire che un settore giovanile funziona?
«Nei miei quattro anni abbiamo sempre centrato risultati importanti con tanto lavoro, ma non credo che sia solo il risultato a fare pubblicità, a farti raggiungere l’apice. La crescita umana e professionale di un giovane ti fa dire che il settore giovanile funziona».

Non si arriva in A solo con la tecnica, giusto?
«Non si può pensare di far crescere un ragazzo solo perché ha mezzi tecnici importanti, perché è veloce o potente. La crescita dev’essere totale: educazione, cultura, intelligenza, affetto e ovviamente gli sviluppi tecnici, tattici e fisici. Sono aspetti che hanno fatto parte della mia gestione della Primavera. Sono stato coadiuvato da persone che hanno condiviso questi concetti: lo staff tecnico, i collaboratori, il medico e lo staff sanitario. Tutti loro hanno trasmesso questi valori ed è diventato un contagio al di là delle vittorie. Questa mentalità è andata avanti anche quando mister Reja e la società mi hanno voluto in prima squadra, i ragazzi hanno continuato questo percorso e la vittoria della Coppa Italia mi ha emozionato, la sento anche un po’ mia».

La Lazio ha lanciato in Nazionale tanti baby d’oro, forse mai così tanti…
«Questo mi inorgoglisce molto, è il prodotto di ciò che s’è fatto. Anni fa dissi alla società “possibile che in una città così grande come la nostra solo la Roma fornisce giocatori alle Nazionali?”. Siamo stati bravi, la crescita ha portato alla formazione di alcuni ragazzi come Cataldi e Rozzi. Sono arrivati in Under 21, la seconda Nazionale in Italia. E cito anche Crecco, nazionale Under 20, e Filippini. Precedentemente Lombardi sino ad arrivare alle ultime convocazioni di Murgia e Palombi. Senza dimenticare le fondamentali valorizzazioni di Cavanda, Onazi, Keita, Strakosha passati per il settore giovanile».

Cosa vede nel suo futuro?
«La società sa che mi sono messo a disposizione e sa che il mio percorso tecnico non è terminato. Sono al servizio del club in modo profondo, non posso dire che il campo non mi manchi. Se ci sarà un’occasione particolare il club mi darà l’opportunità di perseguirla. Non ho mai avuto fretta e frenesia, qui sto bene, intendo continuare questo tipo di rapporto».

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