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De Grandis: «La Lazio ci abitua a un andamento sinusoidale. Sul documentario dello Scudetto del ’74 dico questo»

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De Grandis: «La Lazio ci abitua a un andamento sinusoidale. Sul documentario dello Scudetto del ’74 dico questo». Le sue parole

Stefano De Grandis, giornalista Sky autore del documentario “Lazio 1974, grande e maledetta”, è intervenuto ai microfoni di Radio Olympia. In particolare ha parlato della serie, poi si è soffermato sull’attuale squadra di Sarri. Di seguito le sue parole.

DOCUMENTARIO– «Come autore del documentario, che devo ammettere ha fatto piangere anche me, non mi piace usare la prima persona, danno i meriti sempre a me ma credo così di usurpare quelli della squadra, dal regista a Guy Chiappaventi, che ha scritto tanti libri sulla Lazio e mi ha aiutato molto sul contesto storico e sociale. Io ho frequentato con mio padre l’Hotel Americana, si giocava a carte, ricordo che Chinaglia è venuto a casa mia, ho confidenza con Oddi. La conoscenza mi ha aiutato. Il documentario nasce parlando parlando col direttore che mi chiedeva se mi sarebbe interessato scrivere un libro e la proposta del documentario è nata da lui. Il direttore mi ha dato la squadra migliore e devo dire che la Lazio come società mi ha dato una grossa mano, unico club di Serie A che ha coprodotto un lavoro di questo tipo mettendo a disposizione l’archivio ».

CRITICHE– «Poi sono arrivate anche critiche, so bene che Frustalupi è stato un genio di quella squadra e avrebbe meritato più spazio, ma questo è un documentario senza testo narrativo, ho fatto sostanzialmente domande ai protagonisti. Ci sono anche altri personaggi, Antonio Sbardella è stato importantissimo ma nelle immagini di campo non lo trovi mai, lo stesso Bob Lovati. In un libro sarebbe stato più facile citare Gigi Bezzi, Trippanera, la signora Gina ma un documentario non è un libro, hai bisogno delle immagini per raccontare. Un’ultima nota importante: non c’è Garlaschelli ma secondo voi è possibile che me ne sia dimenticato? Pensate che anche venti anni fa, per Telepiù, avevo fatto già una collana con tutti i personaggi e l’unico che non aveva parlato era Renzo, che è un personaggio schivo al quale non piace apparire, purtroppo tre giorni prima di un appuntamento che avremmo avuto per il documentario è venuta a mancare la sua compagna e non potevo non rispettare il suo dolore. Abbiamo in cantiere una quarta puntata in cui sarebbe bello che Renzo facesse da trait-d’union, tratteggiando figure in maniera più approfondita anche come il presidente Lenzini ».

SU MARTINI– «Martini detestava fortemente Chinaglia perché si arrogava il ruolo del capo del gruppo, lui che è uno spirito libero non accettava quella cosa. Eppure nel documentario parla sempre bene di Chinaglia, questo fa capire quanto quella squadra sia rimasta legata nel tempo e il discorso della tomba di Maestrelli che ospita anche Chinaglia è l’esempio più lampante proprio di questo legame. Mi fa pensare che quella squadra sia legata e sensibile in maniera particolare al contesto sociale degli anni ’70. Secondo me in loro c’era una voglia e una gioia di vita pazzesca incredibile, Chinaglia racconta delle sue scarpe di cartone, del lavoro nel ristorante di suo padre a Cardiff. Questo carattere esplode quando lui manda a quel paese Valcareggi, ma quel gesto lui lo rivolge all’altra metà della squadra, quella nordista. Quella squadra era così intrisa di contesto storico-sociale perché era fertile, da Martini che aveva voglia di avventura e da Chinaglia che si confrontava faccia a faccia coi tifosi della Roma, tanto da arrivare a dire se tu insulti me e la Lazio allora ti insulto anche io e magari ti meno pure ».

LAZIO– «Io ho 62 anni e sono abituato, la Lazio ci abitua a un andamento sinusoidale, prima della Supercoppa sei arrivato a un passo dal quarto posto la bolla si rompe e torni vicino al nono posto dove eri partito. La mia riflessione è che la Lazio è meno forte dell’anno scorso, anche se è una rosa un pochino più lunga, perché gli mancano Immobile e Milinkovic-Savic, per motivi diversi. In più anche Zaccagni e Felipe Anderson non stanno rendendo come prima, anche quest’anno arrivare tra le prime quattro assomiglia a un miracolo, lo dico senza cercare una polemica. Se si arriva al mercato invernale con la Fiorentina che mette 20 milioni sul piatto per Gudmundsson e la Lazio non fa nulla, vuol dire che i Viola hanno maggiori ambizioni. Questo gap qui lo paghi, adesso sento che c’è grande ribellione in confronti di Sarri ma io mi sento di difenderlo per quello che ha fatto l’anno scorso e perché la Lazio a tratti ha fatto vedere di saper giocare a calcio anche in questi stagioni, ma ritengo che la Lazio abbia dei limiti di rosa e di contenuto ».

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