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Lotito a Radio Serie A: «Ho preso la Lazio grazie a Berlusconi, Enrico sarà il mio erede. In questi 19 anni…»

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Claudio Lotito, presidente della Lazio, ha ripercorso i 19 anni trascorsi alla presidenza del club biancoceleste: le dichiarazioni

Claudio Lotito, presidente della Lazio, ha parlato a Radio Serie A. Le sue dichiarazioni:

CELLULARI – «Ho solo tre cellulari, sono legati alle varie attività: calcio, aziende e vita privata. I rompiscatole invece chiamano a tutte le ore del giorno e della notte. Ormai sono abituato, anche se ricevo minacce di morte e altre cose sgradevoli. Sono 20 anni… A una persona normale incutono timore, io sono abituato. Più fanno così e più io divento una persona che vuole far valere il rispetto delle norme e dell’istituzione. Io sono un combattente, quando sono entrato in questo mondo ho trovato che certe situazioni assurde fossero reputate normale. Il tifoso può criticare, ma a mio parere mai infamare. Questo denota una pochezza della qualità delle persone. Noi dobbiamo recuperare la vera cultura sportiva».

SCORTA – «La scorta? Ci si abitua. Ti comporta delle limitazioni alla privacy, ma fa parte del mio ruolo. Mi sono abituato. Mi adatto sempre alle varie situazioni. Come usare un linguaggio diverso rispetto a chi hai davanti. Bisognerebbe fare prevenzione ed educare i giovani alla legalità, come sto facendo io con la squadra. Lo sport ai tempi dei greci era un bene supremo. Si fermavano le guerre durante le Olimpiadi. Questi valori si sono persi nel nostro mondo. Quando uno conosce la propria qualità della persona e sa misurare i propri limiti sa anche avere un comportamento razionale. Ultimamente sono venute meno le norme etiche. E’ un problema che parte dalla famiglia e passa dalla scuola. Ai miei tempi, le famiglie si rivolgevano con rispetto al maestro, autorizzato anche a bacchettare il proprio figlio. Oggi è tutto al contrario. Tutto questo ha determinato un bagaglio per i miei coetanei. I giovani di oggi non hanno la capacità di relazionarsi a causa dei cellulari, non sanno più emozionarsi. I telefoni sono freddi. I ragazzi di oggi non sanno più dialogare, sono poco empatici. E’ tutto un fatto squisitamente asettico che ha determinato la scomparsa del fattore emozionale. Il tifoso di una volta era legato al colore di una maglia, sposava una posizione a vita. Oggi è tutto un apparire e basta».

RAPPORTO CON LA TECNOLOGIA – «Io non ho internet né WhatsApp. Ho un telefono vecchio, io non sono tecnologico. Il telefono è solo un mezzo di comunicazione, non può sostituire al rapporto umano. La cultura è una serie di nozioni che uno acquisisce che fanno si che tu sia in una maniera e non in un altro. Io potente? Sono conoscente di persone che mi consentono di avere considerazione in certi ambienti. Io provo grande affetto per queste persone. Penso di essere apprezzato per questo. Ho la capacità di convincere le persone ad approdare a un fatto obiettivo e razionale. Il comportamento di una persona deve essere coerente con il proprio atteggiamento. Le idee che porta avanti devono rispettare l’interesse della collettività».

PERCORSO ALLA LAZIO – «Innanzitutto, io sono sempre stato tifoso della Lazio, da quando avevo cinque anni. In quel periodo la Lazio non navigava in acque tranquille. Questo è stato un elemento trainante quando mi fu proposta questa sfida dal presidente Berlusconi, per il quale ho sempre provato affetto e stima. E’ stato un genio, dove è intervenuto ha portato risultati. In quel periodo, lui era premier e noi eravamo molto amici. Lui mi chiamò e mi disse che ero l’unico che poteva risolvere i problemi della Lazio. Nel 2004, il club aveva una fotografia contabile spaventosa. Aveva 550 milioni di debiti. Per tutti era considerata una sfida impossibile. Per me era una sfida al limite, che mi intrigava. Alla fine ho accettato questa sfida. Lui si è interessato alla Lazio per un problema di ordine pubblico, ci furono diverse situazioni pesanti. La tifoseria biancoceleste si faceva sentire con metodi non conformi al vivere civile. Questo mi ha permesso di entrare in un mondo particolare. C’erano persone che perdevano milioni, io da imprenditore ero abituato a circondarmi di persone in grado di produrre reddito. Innanzitutto per me sarebbe stato più facile prenderla dal fallimento, io mi sono caricato di tutti i debiti invece. Anche quello con l’Agenzia delle Entrate. Feci applicare una legge dello stato, che non fu ad hoc fatta per me, ma esisteva dal 2002 e non era mai stata applicata. Se un’azienda fallisce è meglio prendere quello che si può prendere che non prendere nulla. Chi ha fatto fallire la società ha fatto gravare sullo stato tutto quello che non ha pagato. A me hanno dato una dilazione. La possibilità di pagare il debito in 23 anni. Io ho sempre pagato 6 milioni l’anno circa. Adesso mancano solamente quattro anno. E devo dire che io pago sempre in anticipo. Scade ad aprile e io pago spesso a ottobre-novembre. E’ giusto perchè sono soldi della collettività. Nessuno mi ha regalato nulla, c’era una legge dello stato che ho fatto applicare. Quei milioni lo stato li avrebbe persi e invece li ha guadagnati con gli interessi. Quei debiti non li ha accumulati il sottoscritto, nel 2027 conto di chiudere definitivamente questa pratica. Credo di aver fatto un favore alla società».

MONDO DEL CALCIO – «In questi anni il mondo del calcio è cambiato. Io ho cercato di coniugare una sana gestione economica a quella sportiva. La Lazio ha un patrimonio di diversi milioni, una rosa di diversi milioni. La Lazio, dal punto di vista dei trofei, ha vinto più di tutti. La società dal punto di vista civilistico da riferimento alla mia persona, ma essendo quotata c’è un azionariato diffuso. Io questo ruolo lo esprimo tenendo conto di una cosa. Io coltivo sentimenti e passioni di un’intera comunità: ho l’obbligo di mantenere e preservare questa passione. Quando sono entrato io, ho imposto l’obbligo dei pagamenti di stipendi con un bonifico bancario per tutte le squadre. Incluse imposte e tasse. Senza questi requisiti non ti iscrivi al campionato».

ENRICO LOTITO – «Affari è un termine improprio, io dalla Lazio non ho tratto alcun vantaggio. Quando sono subentrato alla guida della società, pagavo il leasing di un fabbricato che oggi è nostro. Per riscattarlo serviva un milione e mezzo. Lo potevo riscattare io, risparmiando diversi milioni. Io dissi no, perché era un bene della Lazio e spettava alla Lazio. Per la Lazio ci ho rimesso molto. 50 miliardi di lire è quello che ho messo nella società quando sono entrato. 550 milioni di debiti per prendermi la Lazio. Io ci metto tanto sentimento. Faccio calcio puntando sull’aspetto umano e valoriale. Io non utilizzo il metodo della cicala, perché ho visto tante società scomparire a causa di questo metodo di gestione. Io gli investimenti li ho fatti a livello infrastrutturale. Io ho patrimonializzato la società perché voglio tramandarla a mio figlio, che è un laziale appassionato. Oggi Enrico è entrato nel sistema, si occupa del settore giovanile. E’ un ragazzo appassionato con tanta voglia. Si è laureato in Giurisprudenza, fra poco diventerà avvocato, anche se non eserciterà. Non dobbiamo legare lo sport all’interesse materiale».

19 ANNI DI PRESIDENZA – «In questi 19 anni ho speso tanto. Alcuni comportamenti d persone, che hanno valutato in modo superficiale i principi di iscrizione, mi riferisco all’indice di liquidità, mi hanno costretto a mettere diversi milioni ogni anno che ho preso dal mio conto personale. Sono soldi che non mi hanno prodotto nulla e che non posso neanche recuperare. L’indice di liquidità testa nell’arco dell’anno quali sono ricavi e uscite. Quell’indice, se è frutto di investimenti, rileva la salute di una società. Io su Formello ho investito tanto. Quando è venuto Infantino è rimasto stupito dal centro. Dal punto di vista sanitario è qualcosa di strepitoso. Abbiamo una serie di situazioni funzionali al quotidiano. Ora abbiamo ultimato l’arredo della parte femminile. Mio figlio oggi segue sia la Primavera che la parte femminile. Da quando abbiamo ristrutturato tutto, le cose sembra che inizino ad andare meglio. Se avessero rispettato tutti i parametri, la Lazio Femminile ora sarebbe in Serie A. Purtroppo nel campionato c’erano diverse squadre che non rispettavano i criteri d’iscrizione. Vedasi la questione Pomigliano. A causa di questo è stata falsata la Serie A e la Serie B. Nello sport servono innanzitutto le risorse, altrimenti non puoi fare nulla».

FEDE – «La fede? Ho un rapporto importante, ho una visione escatologica della vita. Io penso che al di sopra di noi c’è sempre stato un qualcuno che ha tracciato un percorso per ognuno di noi, dedico una parte anche se limitata del mio tempo alla preghiera. Non ho mai saltato una messa in 66 anni, anche in posti dove non ci sono chiese cattoliche. A Riyadh ho organizzato una messa nell’ambasciata con un prete francese, era pericoloso, c’era la carcerazione a quei tempi, ma l’ho fatto. Cerco di professare i valori del Vangelo nella vita quotidiana. Vivo con i piedi per terra ma cerco di coniugare questi valori».

IMMOBILE – «Immobile dovrebbe parlare del suo futuro, la società confida molto su Ciro. Ho un rapporto famigliare con lui, non c’è nessuna intenzione di mandarlo via. Rimango sorpreso che possa andare in Arabia, ho un contratto con lui, si dovrebbe conciliare anche la volontà del club. Ciro è una persona di famiglia, ho un grande affetto nei suoi confronti, poi nel calcio capitano i momenti non positivi. Sono convinto che tornerà ad essere fondamentale».

LUIS ALBERTO – «Luis Alberto è una persona particolarissima dal punto di vista caratteriale. Ha una posizione collaborativa ora come ora. Quando è andato via Milinkovic, lui aveva un’offerta dall’Arabia Saudita, ho ritenuto che potesse incarnare lo spirito dello spogliatoio. Mandando via Milinkovic è salito di un gradino. Poi ultimamente ci mette determinazione, passione, spirito di sacrificio».

FELIPE ANDERSON – «Felipe Anderson è un ragazzo d’oro a cui sono legato, abbiamo un’affinità, lui è molto religioso. È una persona con la quale abbiamo un bel rapporto, non c’è rottura, c’è disponibilità al rinnovo. Ora dobbiamo trovare un punto d’incontro».

CATALDI – «Cataldi è cresciuto nel settore giovanile, poiché aveva un fisico poco sviluppato, allora l’abbiamo mandato a giocare in una squadra satellite nostra, ha fatto bene e l’abbiamo ripreso. poi ha fatto il percorso che meritava di fare. romagnoli anche è laziale, è voluto venire alla Lazio perché ci teneva. è un ragazzo di Nettuno che ha quei valori sani della provincia, ha fatto una scelta di cuore con noi, di appartenenza e di lazialità. con noi si è creato un bell’equilibrio, ha un bel profilo e un ruolo. io ho il concetto dell’ecclesia, assemblea. la Lazio è un gruppo, una grande famiglia dove tutti svolgono il proprio ruolo senza sminuire gli altri. il calcio è uno sport di gruppo, se stecca uno poi diventa un problema per tutti. sta a loro dimostrare il loro valore e il ruolo che vogliono ricoprire all’interno della famiglia. l’importante è creare un’armonia tra tutti e creare una linea comune. le scelte dei giocatori ultimi li ho fatti sulla base della qualità anche e soprattutto morale».

DERBY – «Io il tumulto durante le partite ce l’ho interiore. Per noi il derby è un campionato nel campionato, è una partita importante, spero che la squadra ritrovi quell’unità d’intenti e lo spirito di compattezza per dare grandi soddisfazioni ai nostri tifosi che meritano un comportamento del genere».

MIGLIORAMENTI – «La Lazio deve migliorare in tante cose a partire dal suo presidente. Ci dobbiamo adoperare tutti per migliorare, bisogna avere coscienza dei propri mezzi ed essere in grado di poterli esprimere. La squadra deve sapere che ha un obiettivo, che è quello di raggiungere i risultati. Contribuiscono tutti nella società, ma loro vanno in campo e devono trovare l’alchimia per poter esprimere al 100% le loro potenzialità. Le partite le vince il gruppo, non il singolo. Le vittorie sono di tutti».

SARRI E MERCATO – «Sarri è un grande insegnante di calcio, maestro. È una persona caratterialmente particolare, che con me va d’accordo. Abbiamo dei confronti, non abbiamo mai litigato. Io sono un presidente che fa il presidente, che dopo 20 anni è in grado di capire quali sono le esigenze della squadra. Io ho preso la Salernitana che stava in eccellenza, pagando 350 mila euro a fondo perduto e l’ho fatta ripescare in serie d. L’ho portata fino in serie b e mi sono fermato. Poi l’ho lasciata andare e l’ho portata in serie a, la piazza era insofferente. La Salernitana è stata svenduta, a me mancano ancora dei soldi. una società che valeva 70/80 milioni è stata venduta a 10. Con Sarri ci confrontiamo, anche in modo accesso, lui è integralista, ma credo che abbia stima della mia persona. Lui nel mercato di quest’anno chiedeva Ricci e Berardi. Io ho tentato di raggiungere questi obiettivi, ho ricevuto richieste fuori di qualsiasi logica, sia economica che in relazione all’età. Abbiamo preso Rovella che non credo sia inferiore a Ricci. Non penso che i giocatori che abbiamo preso siano inferiori a Zielinski che è ancora sul mercato e non ha compratori. È un lavoro che richiede maggiore impegno da parte sua. Il paradosso è che la squadra ha vinto con le squadre importanti e perso con le piccole. La mentalità la devi dimostrare, quello che conta, oltre le qualità, è la tenuta mentale, il campione è quello che riesce ad esprimere sempre le proprie potenzialità».

TIFOSI DELLA ROMA – «Questo gli rimprovero, se non ci metti la determinazione e la combattività è inutile. Gli altri non si spostano. Il derby a cui sono più legato è quello del 26 maggio, è stato un evento particolarissimo, in città si vive e si soffre. L’altra fazione enfatizza di più le situazioni, i laziali sembrano meno coinvolti, soffrono in silenzio. Invece l’altra sponda è più caciarona e se non raggiunge l’obiettivo sparisce. Il derby rimane sempre la partita nella partita. L’anno scorso siamo stati ampiamente soddisfatti per quello che abbiamo ottenuto».

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