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Editoriale

L’analisi del giorno dopo – «Io e te, io e te. Come nelle favole»

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L’analisi della Supercoppa Italiana tra Juventus e Lazio, vinta dai ragazzi di Inzaghi per 3-2 con un gol di Murgia al minuto 93

«Come nelle favole…». Vasco la canta, Alessandro la rappresenta con l’aiuto di Ciro e di Simone. 95 minuti che sembrano un copione scritto. Da laziali ovviamente, perché vincere è bello, farlo così lo è ancor di più. Dominio di 80 minuti spezzato da una magia di un mago: Paulo Dybala, l’unico in grado di accendere la lampadina nel buio più totale. Quel buio che poi diventa blackout per la Lazio, quando il piede di Marusic si scontra con quello di Alex Sandro: «Ecco siamo alle solite, mai na gioia» – il pensiero di milioni di laziali, consapevoli però, conoscendo bene la loro storia, che non sarebbe potuta finire in quel modo. Allora ci pensa un fratello d’arte a regalare ad un suo simile, il primo trofeo da allenatore. Loro due, cresciuti professionalmente, nell’ombra del loro cognome diventato popolare grazie a qualcun altro. Jordan sgroppa, sfreccia, se ne va e non lo prende nessuno. Arriva lì dove osano le aquile. Dove si trovava l’aquila più grande. Reale e diventata incredibilmente attuale, come quell’aquila che il 29 aprile 1998, nella stessa porta diede il via ai trionfi dell’era Cragnottiana, segnando il 3-1 contro il Milan. Alessandro e Alessandro. Nesta prima, Murgia dopo. Non una favola qualunque, ma la favola della Lazio. Quella che riserva sempre un lieto fine.

LUIS FINALMENTE SEI DEI NOSTRI – E poi c’è lui. Come chi? «Ao avemo preso Lupo Alberto» – questo il pensiero comune quando sul finire della scorsa estate sbarcò a Roma. Un anno dopo la parola più gettonata è soltanto una: “finalmente”.  Precampionato da assoluto protagonista: regista, davanti la difesa perché la visione di gioco c’è, i piedi anche. Felipe dà forfait, Keita vede Candreva e Biglia tristi davanti alla tv e decide di unirsi a loro, portandosi già avanti col lavoro. Resta solo lui. Imbriglia i piani di Allegri non dando mai punti di riferimento in fase offensiva, mentre in quella di non possesso diventa un’ombra di Pjanic, impossibilitato nel creare gioco. La chiave tattica della partita è lui, immarcabile dalla difesa juventina. Oltre la parte tecnica c’è anche quella fisica, a dir poco brillante. L’unico a correre per tutta la durata della gara senza sosta. Pressava anche nei minuti di recupero. Lo spagnolo sembra aver superato le paure iniziali ed esser rinato nella Città Eterna. Inzaghi ha saputo aspettarlo e oggi giustamente se lo coccola. Lui è l’acquisto migliore, quello tanto atteso anche quando tutti sembravano averlo dimenticato. Oggi Luis si gode la sua Lazio con una coppa in più in bacheca, riaperta dopo quattro anni.

PRIMO TROFEO – E pensare che c’è ancora chi lo chiama ‘Inzaghino’… Quando alla vigilia di una sfida contro la seconda squadra più forte d’Europa, intuisci di dover rinunciare per motivi diversi a Felipe Anderson, Keita e Bastos, potresti avere nella testa la consapevolezza di non potercela fare neanche questa volta. Non lui, non Simone. Pilota di una cinquecento che da un anno e mezzo viaggia alla velocità di una Ferrari. Al 93’ poi ha deciso di scendere e di percorrere gli ultimi metri a piedi. Quelli che lo separavano dallo spettacolo più grande, mostrato ancora una volta dalla Curva Nord. Lui lì sotto, dopo il gol di ‘Ale’, ma soprattutto dopo una gara perfetta di tutti gli altri. Sembravano dei gladiatori telecomandati dal loro condottiero. Lo spirito è lo stesso: quello della battaglia. Mollare non è mai un’ipotesi possibile. Lo sa Inzaghi, lo sanno i suoi calciatori che incarnano alla perfezione i valori del proprio mister. Semplicemente perfetti e condannati da una magia avversaria e da una sbavatura propria. Quella di Marusic, entrato insieme a Lukaku e Murgia per proteggere un risultato che Bernardeschi e Douglas Costa hanno provato a capovolgere. Queste le sostituzioni; basta elencarle per capire che si parla di due mondi diversi, diventati tali e quali in una notte d’estate romana. Ancora grazie a lui. Dopo aver ridicolizzato la Roma, ora tocca alla Juve, imbattibile in Italia e costretta ad arrendersi in Europa solo al Real Madrid. Festeggiamenti per il primo trofeo da allenatore dei grandi che dureranno fino a mercoledì, quando si inizierà a pensare alla Spal. Perché un successo si costruisce passo dopo passo, senza mai andare oltre. Lui e i suoi ragazzi. Quelli che corrono, non lasciano spazi e soffocano l’avversario. La corsa al terzo gol è il regalo più bello. Un regalo per quei laziali che finalmente vedono in panchina, un tifoso come loro soffrire come loro. E ora andateglielo a spiegare ad Antonio, Lucas e Balde che a Roma si può vincere. Perché loro ancora di coppe al cielo non ne hanno alzate. Anzi si, Balde si. Ah no, ieri non c’era, faceva già parte degli sconfitti.

IO E TE – «A crescere bambini, avere dei vicini Io e te, io e te». La canzone è sempre quella, la favola anche. Vissuta sullo stesso binario dal 2012. Un binario dove in due si sono fatti piccoli per poi diventare grandi. Anzi, Simone grande già lo era, ma in pochi lo avevano capito. Mentre Alessandro lo è diventato. Ieri proprio Simone, quando ha visto Alessandro accelerare per andare sotto la curva, si è messo in corsia di sorpasso e l’ha ripreso. Perché dividersi uscendo da quel binario non è possibile. Cinque anni vissuti in simbiosi senza mai separarsi. Un destino che li ha visti sempre insieme, mai divisi. Insieme anche nella storia della Lazio, dove alla voce ‘predestinati’, ci sarà posto anche per loro. L’ha coltivato e ci ha creduto Simone che vedendo le poche possibilità economiche della società, non si è mai tirato indietro quando bisognava lanciare i “suoi” ragazzi. Da Lombardi a Strakosha, un altro a meritare la serata appena vissuta. Bistrattato da tutti soltanto perché la sua nazionale coincideva con quella del ds Tare. Con la disinvoltura e l’esperienza di un veterano si è preso le chiavi della porta laziale e ora non vuole cederle a nessuno. Ma ora torniamo a lui. Quando si dice eroe per caso. Quando si dice trovarsi al posto giusto al momento giusto. Proprio lì dove un altro Alessandro nel 1998 diede inizio ad una serie di successi inimmaginabili prima. Ed ora chi se li immagina? Nessuno. Proprio come l’altro Alessandro, 20 anni più grande di lui, Murgia corre a perdi fiato sotto la Nord. Quella dove fino a pochi anni fa lui stesso, sventolava i colori più belli del mondo. Ora quei colori li ha portati in alto da protagonista, insieme a mister Inzaghi, che in quella corsa provava a svegliarlo da quello che ancora sembra un sogno. Dopo due Coppa Italia e una Supercoppa Primavera, sono ancora loro a far volare in alto l’aquila. Dal 2012 sempre insieme e chissà per quanti altri anni ancora. Però adesso non svegliateli, quando apriranno gli occhi e realizzeranno quanto fatto, il pensiero sarà comune e con uno sguardo si capiranno, praticamente come fanno da sempre: «Io e te, io e te. Come nelle favole…» – questo penseranno e canticchieranno sotto voce. Poi però arriveranno altre corse, altre partite e lì la consapevolezza si fonderà con la realtà. La favola sarà la testa, a cantarla sarà sempre Vasco e a recitarla sempre loro, perchè «Quello che potremmo fare io e te. Non si può neanche immaginare».

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