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Buccioni: «Lazio, favola più bella scritta a Roma dal 1900»

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Il presidente della Polisportiva Lazio, Antonio Buccioni, compie oggi 60 anni: il museo della Lazio e i progetti futuri

Tifa settanta Lazio, casa sua è la casa della lazialità, il set perfetto per rivivere la storia. Il Corriere dello Sport è entrato nella casa museo di Antonio Buccioni, presidente della Lazio identificata come Polisportiva, dove sono conservate le foto dei pionieri del passato, le medaglie, i calchi che simboleggiano 117 anni di vita di ogni disciplina. Dai tesserini di Silvio Piola (anno 1934) e Fausto Coppi (ai tempi dell’iscrizione alla S.S. Lazio, marchiata dalla Federciclismo) al cartellino di Giorgio Chinaglia (anno 1969, il primo nella Lazio). Buccioni oggi compie 60 anni, è custode dei ricordi, è tramandatore dell’ideale laziale, suoi impegno e volontà di preservare la lazialità e la memoria.

Presidente Buccioni, buon compleanno. Sotto il suo impulso la Lazio registra 70 organizzazioni sportive che praticano 80 discipline. E’ un record in Europa, forse nel mondo.
«Il 9 gennaio 1900 nove ragazzi seminarono un verbo. Dopo 117 anni c’è un raccolto prodigioso, ha prodotto un sodalizio impressionante, composto da 10mila ragazzi e ragazze, dietro cui ci sono 10mila famiglie. E in più c’è tutta la tifoseria della Lazio calcio, vanno aggiunte almeno 1,5 milioni di persone. E’ questa la più grande famiglia della regione Lazio. Oggi coesistono la Lazio escursionismo, società antichissima, associazione culturale che abbraccia la natura e prescinde dall’agonismo, e la Lazio calcio, società quotata in Borsa. Pensando a questo non puoi non rivendicare con orgoglio l’esistenza della più bella favola scritta a Roma dal 1900».

Cosa si prova ad essere a capo di una famiglia così?
«Ricopro il ruolo con onore illimitato, ma forse la Lazio necessiterebbe di una guida più importante in senso politico o in senso culturale, anche in senso economico. Si deve accontentare di un presidente che gli è devoto come nessun altro al mondo, questo lo rivendico».

Si riuscirà mai a compattare la Lazio del calcio con le altre discipline?
«Sul piano ideale e spirituale si possono creare le condizioni per un ulteriore consolidamento del rapporto. Non è un mistero che a livello italiano, direi mondiale, il calcio postprofessionistico e tutto il resto del movimento sportivo, dilatino le loro distanze ogni ora».

Quali sono i progetti futuri?
«C’è l’idea di reperire una sede unica per le discipline, magari non grande, ma altamente significativa da un punto di vista simbolico, a Piazza della Libertà o nelle adiacenze del sito originario. Abbiamo individuato alcuni luoghi, abbiamo fatto partecipe anche il nostro presidente generale onorario, il professore Emmanuele. Speriamo di farcela entro l’anno».

Nascerà mai un vero museo della Lazio?
«Non sarebbe la memoria di una società calcistica né sportiva. Il museo sarebbe la sede della memoria di una parte ultrasecolare di una città e di una regione. L’Italia e Roma non vivono tempi ideali. Il museo è un’occasione mancata, servono investimenti e un’apertura socio-culturale».

Quali sogni culla?
«Con una battuta dico che vorrei vincere 70 scudetti all’anno, tanti quante sono le sezioni. E’ ovvio sognare impianti nuovi, la nuova sede, nuove vittorie. La vita mi ha dato l’opportunità di vivere sul campo due scudetti calcistici. Nel 1974 avevo 17 anni, nel 2000 ne avevo 43. Vorrei vivere uno scudetto della pallanuoto, sono legato alla lazialità dell’acqua avendo presieduto la sezione Canottieri per 8 anni, vincendo 40 titoli italiani, portando Gabriella Bascelli, prima atleta biancoceleste e più grande atleta del canottaggio italiano, ad Atene 2004 e a Pechino 2008. Cito anche Piergiorgio Negrini. Lo scudetto della pallanuoto, lato laziale, manca a Roma dal 1956. Io sono nato nel 1957».

Gli impianti romani sono fatiscenti, i progetti di costruzioni vengono ostacolati o bocciati. I fiori della Polisportiva crescono nel deserto e molte società rischiano di retrocedere, si salvano a fatica per mancanza di fondi, di aiuto. Perché tutto questo?
«L’area romana è priva di industrie, una volta esisteva quella edilizia. I costi, anche psicologici, sono tremendi. Quando vedi sbocciare fior di atleti, ma sono costretti a lasciare costumi, calottine, maglie e guantoni biancocelesti, soffri. Per una società che da sola fa tutto non si può che gridare al miracolo».

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